21 agosto 2010

22 AGOSTO 2010
XIII Domenica di S. Matteo – S. Agatonico martire

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kirìo pàsa i ghi, psàlate dhi to onòmati aftù, dhòte dhòxan enèsi aftù.

SECONDA ANTIFONA

Agapà Kìrios tas pìlas Siòn, ipèr pànda ta skinòmata Iakòv.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Etìmi i kardhìa mu, o Theòs, etìmi i kardìa mu; àsome ke psalò en ti dhòxi mu.

En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

TROPARI

Della Domenica: To fedhròn tis anastàseos kìrighma ek tu anghèlu mathùse e tu Kirìu mathìtrie, ke tin progonikìn apòfasin aporrìpsase tis Apostòlis kafchòmene èlegon: Eskìlefte o thànatos, ignèrthi Christòs o Thèos, dhorùmenos to kòsmo to mèga èleos.

Della festa: En ti ghennìsi…

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon, ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen: os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (1Cor. 16,13-24)

Fratelli, vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carità. Una raccomandazione ancora, o fratelli: conoscete la famiglia di Stefana, che è primizia dell’Acaia; hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli; siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro. Io mi rallegro della visita di Stefana, di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza; essi hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro. Sappiate apprezzare siffatte persone. Le comunità dell’Asia vi salutano. Vi salutano molto nel Signore Àquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa. Vi salutano i fratelli tutti. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Il saluto è di mia mano, di Paolo. Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. Maranà tha: vieni, o Signore! La grazia del Signore Gesù sia con voi. Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù!

VANGELO (Mt. 21,33-42)

Disse il Signore questa parabola: “C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori dalla vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?”. Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?”.

MEGALINARIO

E gheneè pàse makarizomèn se tin mònin Theotòkon. Nenìkinde tis fìseos i òri en si, Parthène àchrande: parthenèvi gar tòkos ke zoìn promnistèvete thànatos. I metà tòkon Parthènos, ke metà thànaton zòsa, sòzis aì, Theotòke, tin klironomìan su.

KINONIKON

Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Apòstoli ek peràton, sinathristhèndes enthàdhe, Ghetsìmanì to chorìo, kidhevsatè mu to sòma; ke si Iiè ke Theè mu, paralavè mu to pnèvma.

Commento al Vangelo:
Diversi tratti di questa parabola rispecchiano la situazione palestinese. Quando si pianta una vigna, viene eretto un muricciolo a sua protezione, vi si scava una buca per la pigiatura, e se la vigna è vasta, vi si erige una torre di guardia per tenere lontani i ladri. Ma più importanti di questi tratti sono i riferimenti veterotestamentari della parabola. L’immagine della vigna era già stata utilizzata da Osea (10,10) e poi ampiamente ripresa da Isaia, Geremia, Ezechiele e dal Salmo 80.
La parabola, però, sembra soprattutto riferirsi al famoso canto della vigna di Isaia (5,1-7). Il profeta descrive la monòtona storia del suo popolo: da una parte l’amore di Dio e dall’altra il continuo tradimento del popolo. È una storia – conclude il profeta – che non può continuare all’infinito: la pazienza di Dio ha un limite e ci sarà un giudizio. Dio si aspettava uva pregiata ed invece ebbe uva scadente. A questo punto non resta che il castigo: la vigna cadrà in rovina, non sarà più coltivata e vi cresceranno pruni e rovi.
Fin qui il canto di Isaia. Nella parabola evangelica vengono precisati due punti:
- il castigo non consiste semplicemente in una generica disobbedienza del popolo di Dio, ma nel fatto che questo popolo ha tolto di mezzo i suoi profeti e – alla fine – addirittura uccide il Messia. È un duro giudizio su Israele ed è un perenne avvertimento per gli stessi cristiani.
- Il secondo punto consiste nel fatto che il Regno sarà tolto ai capi d’Israele e sarà dato ai pagani, sarà tolto ai vicini e passerà ai lontani. Anche questo è un duro giudizio su Israele e un perenne monito ai cristiani. Dio è fedele al suo popolo, ma non al punto che il suo disegno di salvezza venga interrotto. Se i cristiani rifiutano, le sue esigenze di verità e giustizia troveranno altrove il modo di esprimersi.

14 agosto 2010

15 AGOSTO 2010
XII DOMENICA DI S. MATTEO
DORMIZIONE DELLA NOSTRA SANTISSIMA SOVRANA LA MADRE DI DIO E SEMPRE VERGINE MARIA



“Con quali parole spiegherò il tuo mistero?”, si chiese S. Teodoro Studita parlando della Dormizione della Madre di Dio, “La mia mente è in difficoltà (…): è un mistero insolito e sublime, che trascende tutte le nostre idee. Non trovo nient’altro di simile, cui possa paragonarsi, onde offrirne subito un saggio dalle cose che capitano, ma solo dalle cose che sono sopra di noi. (…) Fu precisamente nel tuo ineffabile parto che mutasti l’ordine della natura: quando mai, infatti, si è udito che una vergine abbia concepito senza seme? Colei che diviene madre partorendo rimane vergine incorrotta, perché Dio era quello che veniva generato. Così nella tua dormizione vitale, differenziandoti da tutti gli altri, tu sola a buon diritto rivesti la gloria della persona completa di anima e di corpo”.
Queste parole possono essere considerate un piccolo saggio dell’importanza e della portata teologica che questa festa riveste nelle Chiese di tradizione bizantina.
La festa dell’Assunta sembra, infatti, essere di origine orientale; resta, tuttavia, incerta e discussa tra gli studiosi sia la località in cui si è sviluppata sia il tempo. Sono state, quindi, formulate delle ipotesi. La più accreditata si fonda sulla notizia riportata da un Lezionario georgiano del sec. VIII, - che, tuttavia, sembra rispecchiare usanze liturgiche di Gerusalemme risalenti ad almeno un secolo prima -, che il 15 agosto si celebrava una festa mariana nella chiesa fatta costruire dall’imperatrice Eudocia nel Getsemani, poiché in questa chiesa veniva indicato il sepolcro della Vergine.
La letteratura apocrifa sul trapasso della Madre di Dio certamente avrà contribuito alla diffusione e all’affermazione di questa festa gerosolimitana. Comunque si ha notizia che fu l’imperatore Maurizio (582-602) ad ordinare la celebrazione di questa ricorrenza in tutto l’impero.
A partire da quest’epoca, infatti, troviamo che i maggiori teologi, poeti, oratori sacri celebrarono le meraviglie di questa memoria tanto da farci intendere che la Dormizione della Madre di Dio era ben presto divenuta la festa mariana più importante della Grande Chiesa bizantina.
Fin dal tempo di S. Teodoro Studita (759-826) fu fatta precedere da un digiuno di 15 giorni, caratteristica tipica delle grandi solennità. Durante questa breve quaresima, non si sa bene da quando, ogni sera viene cantata un’Ufficiatura detta “Paraklisis”, tra le più diffuse e popolari. Il termine “Paraklisis” significa tanto intercessione che consolazione: con questa supplica, infatti, si impetra l’intercessione della Vergine presso il Signore per la guarigione delle anime e dei corpi da ogni genere di mali e si ha la consolazione di essere esauditi per i meriti della Madre celeste.
“Ti sei addormentata, sì”, esclama nello stesso panegirico lo Studita, “ma non per morire; assunta, ma non lasci di proteggere il genere umano”.
Importante è stato, infine, un decreto dell’imperatore Andronico II (1282-1328) con cui l’intero mese di agosto è stato consacrato al mistero della Dormizione e Assunzione della beata Vergine.
Fino a questo momento la terminologia per designare la festa è stata varia, ma è opportuno porre in debito risalto che il termine proprio bizantino per designare la celebrazione è “Koìmesis” (Dormizione). Le motivazioni di questa preferenza ci vengono date da San Giovanni Damasceno: “Come chiameremo questo mistero che ti riguarda?”, dice rivolgendosi direttamente alla Vergine nella prima omelia dedicata a tale solennità, “La chiameremo morte? Sebbene la tua sacratissima e beata anima, secondo le leggi della natura, si stacchi dal perfetto e puro tuo corpo, e il corpo sia affidato secondo la legge comune alla tomba, ciononostante non soggiorna nella morte né è dissolto dalla corruzione. A Colei la cui verginità rimase illibata nel parto, fu custodito incorruttibile il corpo anche nel suo trapasso e fu trasferito in una dimora migliore e più divina non soggetta ai colpi della morte, ma che si perpetua per gli infiniti secoli dei secoli.
Come questo nostro sole che tutto illumina e sempre splende, nascosto per un breve momento dal corpo della luna, sembra sparire, avvolgersi nella caligine e mutare lo splendore in tenebra e tuttavia esso non viene privato della sua propria luce, perché ha in se stesso una fonte eterna rigurgitante di luce, o meglio, lui stesso è fonte di luce inestinguibile, secondo quanto ha stabilito Dio che l’ha creato, così anche tu: fonte perenne della vera Luce, scrigno inesauribile di Colui che ha la vita inesauribile di luce infinita, di vita immortale e di vera felicità, fiumi di grazia, sorgenti di medicamenti, una benedizione perpetua.
Tu sei fiorita come il pomo in mezzo agli alberi del pomario e il tuo frutto è dolce al palato dei fedeli. Pertanto, io non chiamerei morte la tua santa dipartita, ma dormizione o passaggio: meglio, un’entrata nella dimora di Dio”.
Non si tratta, quindi, di un termine tendente a porre in risalto un aspetto anziché un altro della festa, ma di concetto comprensivo tanto della morte che dell’Assunzione.
Compendio di questa rappresentazione sembra essere una breve composizione poetica (exapostilarion, canto di congedo) cantata alla fine della “Paraklisis”, mentre i fedeli si recano a baciare l’icone.
“Apostoli, convenuti da ogni parte della terra nel luogo del Getsemani, prendetevi cura del mio corpo. E tu, mio figlio e mio Dio, prendi il mio spirito”.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kirìo pàsa i ghi, psàlate dhi to onòmati aftù, dhòte dhòxan enèsi aftù.

SECONDA ANTIFONA

Agapà Kìrios tas pìlas Siòn, ipèr pànda ta skinòmata Iakòv.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Etìmi i kardhìa mu, o Theòs, etìmi i kardìa mu; àsome ke psalò en ti dhòxi mu.

En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

TROPARI

Della Domenica: Effrenèstho ta urània, agalìastho ta epìghia, òte epiìse kràtos en vrachìoni aftù o Kìrios; epàtise to thanàto ton thànaton, protòtokos ton nekròn eghèneto; ek kilìas Adhu errìsato imàs ke parèsche to kòsmo to mèga èleos.

Della festa: En ti Ghennìsi …

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon, ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen: os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (Fil. 2,5-11)

Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

VANGELO (Lc. 10,38-42.11,27-28)

In quel tempo, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”.

MEGALINARIO

E gheneè pàse makarizomèn se tin mònin Theotòkon. Nenìkinde tis fìseos i òri en si, Parthène àchrande: parthenèvi gar tòkos ke zoìn promnistèvete thànatos. I metà tòkon Parthènos, ke metà thànaton zòsa, sòzis aì, Theotòke, tin klironomìan su.

KINONIKON

Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Apòstoli ek peràton, sinathristhèndes enthàdhe, Ghetsìmanì to chorìo, kidhevsatè mu to sòma; ke si Iiè ke Theè mu, paralavè mu to pnèvma.

OPISTHAMVONOS

Christè o Theòs imòn, o dhià thanàtu tin afthoròn su Mitèra ek zoìs pros zoìn tin akìraton metastìsas, ke tafìsan aftìn tis en tàfo dhiafthoràs ipèr lògon ipsilotèran ergasàmenos, ke pros kidhìan aftìs tus sus Apostòlus pandachòthen sinagagòn, aftòs, tes presvìes aftìs, pàndas imàs tus tin aftìs eortàzondas metàstasin lìtrose pàsis nekràs ennìas ke pràxeos, ke pàsis psichikìs dhiafthoràs elefthèroson, tu tis apognòseos thanàtu dhiàsoson, ke tu tis apistìas ke kakopistìas mnìmatos dhiafìlaxon; ke tis pistìs vasilèfsi pàsan epivulìn ke tirannìda katakìmison, ke pàsan varvàron thrasìtita nèkroson, ke pàndon ton epanistamènon to so kirìgmati ta friàgmata tapìnoson; ke pàndas tis eonìu zoìs kataxìoson, òti pàndas anthròpus thèlis sothìne, ke prèpi si dhòxa, sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke to zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O anastàs ek nekròn, Christòs o alithinòs Theòs imòn, tes presvìes tis panachràndu ke panamòmu aftù Mitròs is tin Kìmisin ke tin is uranùs metàstasin eortàzomen…

13a SETTIMANA DI SAN MATTEO

16 – L – FESTIVITA’ DEL SS. CROCIFISSO – Traslazione da Edessa dell’icona non dipinta da mano d’uomo del Signore nostro Gesù Cristo, cioè del santo Mandilio – S. Diomede martire
1Tim. 3,13-4,5 Lc. 9,51-56.10,22-24.13,22

17 – M – S. Mirone martire
2Cor. 8,16-9,5 Mc. 3,13-21

18 – M – Ss. Floro e Lauro, martiri
2Cor. 9,12-10,7 Mc. 3,20-27

19 – G – Ss. Andrea Stratilata insieme ai suoi 2.593 compagni, martiri
2Cor. 10,7b-18 Mc. 3,28-35

20 – V – S. Samuele profeta
2Cor. 11,5-21a Mc. 4,1-9

21 – S – S. Taddeo apostolo – S. Bassa martire
1Cor. 4,9-16 Mc. 3,13-21

7 agosto 2010

08 AGOSTO 2010
XI Domenica di S. Matteo – S. Emiliano, vescovo di Cizico

PRIMA ANTIFONA

Mègas Kìrios, ke enetòs sfòdhra en pòli tu Theù imòn, en òri aghìo aftù.

SECONDA ANTIFONA

I themèlii aftù en tis òresi tis aghìis.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en to òri to Thavòr metamorfothìs, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Ta elèi su, Kìrie, is ton eòna àsome.

Metemorfòthis en to òri, Christè o Theòs, dhìxas tis Mathitès su tin dhòxan su, kathòs idhìnando. Làmpson ke imìn tis amartolìs to fos su to aìdhion, presvìes tis Theotokù; Fotodhòta, dhòxa si.

ISODHIKON

Thavòr ke Ermòn to onomatì su agalliàsonde.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en to òri to Thavòr metamorfothìs, psàllondàs si: Allilùia.

TROPARI

Della Domenica: Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.

Della festa: Metemorfòthis en to òri…

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Epì tu òrus metemorfòthis ke os echòrun i mathitè su tin dhòxan su, Christè o Theòs, etheàsando: ìna òtan se ìdhosi stavrùmenos, to men pàthos noìsosìn ekùsion, to dhe kòsmo kirìxosin, òti si ipàrchis alithòs tu Patròs to apàvgasma.

EPISTOLA (1Cor. 9,2-12)

Fratelli, voi siete il sigillo del mio apostolato nel Signore. Questa è la mia difesa contro quelli che mi accusano. Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Ovvero solo io e Bàrnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. Sta scritto infatti nella legge di Mosè: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si dà pensiero dei buoi? Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza. Se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? Se gli altri hanno tale diritto su di voi, non l’avremmo noi di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al vangelo di Cristo.

VANGELO (Mt. 18,23-35)

Disse il Signore questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore, gli errori, al vostro fratello”.

MEGALINARIO

Nin ta anìkusta ikùsthi: O apàtor gar Iiòs o tis Parthènu ti patròa fonì endhòxos martirìte, ìa Theòs ke ànthropos o aftòs is tus eònas.

KINONIKON

En to fotì tis dhòxis tu prosòpu su, Kìrie, porefsòmetha is ton eòna. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Metemorfòthis en to òri…

APOLISIS

O en to òri to Thavòr metamorfothìs en dhòxi, enòpion ton aghìon aftù Mathitòn ke Apostòlon ke anastàs ek nekròn…

Commento al Vangelo:
Questa parabola, propria di Matteo, è uno dei brani più severi dei Vangeli. Sottolinea il dovere del perdono adducendo un altro motivo: il perdono concesso dall’uomo all’altro uomo è una condizione del perdono concesso da Dio all’uomo (“Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”). Il perdono di Dio, quindi, è il motivo e la misura del perdono fraterno. Dobbiamo perdonare agli altri perché sarebbe inconcepibile tenere per sé un dono immenso gratuitamente ricevuto. Dobbiamo perdonare senza misura, perché Dio ci ha già fatti oggetto di un perdono senza misura: è dal senso della gratuità del dono di Dio che nasce il perdono. Il contrasto fra i due quadri della parabola, infatti, non ha come scopo principale quello di far risaltare la diversità di comportamento nelle due diverse situazioni, intende piuttosto far rilevare quanto sia degno di condanna il servo che non perdona dal momento che egli fu per primo oggetto del perdono divino. Il servo è condannato perché tiene il dono per sé e non permette che il suo perdono diventi gioia e perdono anche per i fratelli. Bisogna invece imitare il comportamento di Dio.

12a SETTIMANA DI SAN MATTEO

9 – L – S. Mattia apostolo
Atti 1,12-17.21-26 Lc. 10,16-21

10 – M – S. Lorenzo martire e arcidiacono
2Tim. 2,1-10 Gv. 15,17-16,2

11 – M – S. Euplo martire
2Cor. 6,11-16b Mc. 1,23-28

12 – G – Ss. Fozio e Aniceto, martiri
2Cor. 7,1b-10a Mc. 1,29-35

13 – V – Traslazione delle reliquie di S. Massimo il confessore
2Cor. 7,10-16 Mc. 2,18-22

14 – S – S. Michea profeta
1Cor. 1,26-2,5 Mt. 20,29-34