Troviamo la prima notizia di questa festa di origine gerosolimitana nel Diario di Viaggio della pellegrina Egeria, risalente agli anni 381-384.
“La domenica con cui inizia la settimana di Pasqua, che qui si chiama la grande settimana – ha scritto la nobildonna, - celebrate le funzioni come di consueto all’Anastasis, e alla Croce dal canto del gallo fino al mattino, la domenica mattina dunque ci si riunisce secondo il solito alla chiesa maggiore chiamata Martyrium (si chiama così perché si trova sul Golgota, vale a dire dietro la Croce, dove il Signore ha sofferto la passione, e perciò ha il nome di Martyrium). Quando alla chiesa maggiore sono state compiute tutte le celebrazioni, seguendo l’uso abituale, prima del congedo l’arcidiacono leva la sua voce e dice (…): Oggi, all’ora settima siamo tutti presenti all’Eleona. Tutti si affrettano a casa per mangiare, in modo da essere presenti all’inizio dell’ora settima nella chiesa dell’Eleona, quella che si trova sul Monte degli Ulivi dove c’è la grotta in cui insegnava il Signore. All’ora settima, dunque, tutto il popolo sale al Monte degli Ulivi, ossia all’Eleona, alla chiesa. Il vescovo prende posto; si dicono inni e antifone appropriati al giorno e al luogo, come lo sono le letture. Appena iniziata l’ora nona subito si raggiunge con inni l’Imbonon, luogo da cui il Signore ascese al cielo, e là ci si siede: tutto il popolo, infatti, sempre alla presenza del vescovo è invitato a sedersi. Solo i diaconi rimangono sempre in piedi. Anche qui si dicono inni e antifone appropriati al giorno e al luogo, e lo stesso si fa per le letture che si intercalano e per le preghiere. Allorchè comincia l’ora undicesima si legge il brano evangelico in cui i bambini con rami e con palme vanno incontro al signore, dicendo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Tutti i bambini del luogo, anche quelli che non sanno ancora camminare perché troppo piccoli e che sono portati a cavalcioni dai genitori, tutti hanno dei rami, chi di palma, chi di ulivo; così la folla accompagna il vescovo nello stesso modo in cui quel giorno venne accompagnato il signore. Dall’alto del monte fino alla città e di qui, attraversandola tutta, fino all’Anastasis tutti quanti fanno il percorso interamente a piedi, anche se vi sono dame o personaggi insigni. In tal maniera scortano il vescovo rispondendo ai salmi. Così, procedendo piano piano perché la gente non si affatichi, si arriva all’Anastasis che è già sera. Giunti là, benché sia tardi, si celebra il lucernale, si fa ancora una preghiera alla Croce e si rimanda il popolo”.
Sin dal sec. II, l’entrata trionfale di Cristo nella Città santa, compiuta secondo la profezia di Zaccaria che diceva: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re, Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”, è stata considerata come una delle sue più grandi affermazioni di messianità.
Si legge, infatti, nell’opera di Giustino, il Dialogo con Trifone: “L’ingresso di Gesù a Gerusalemme non ha realizzato in sé la potenza che lo ha fatto Cristo, ma ha indicato agli uomini che egli era Cristo”.
Con il tempo la commemorazione gerosolimitana crebbe di importanza e di solennità cosicchè, nel sec. VI, la si trova presso tutte le Chiese orientali, mentre le prime tracce in Occidente si hanno circa un secolo dopo, nelle opere di Isidoro di Siviglia (+636).
PREGHIERA PER LA BENEDIZIONE DELLE PALME
Signore Dio nostro che sei assiso sui Cherubini, che hai innalzato la tua potenza ed hai inviato il tuo Figlio Unigenito, il Signore nostro Gesù Cristo per salvare il mondo per mezzo della Croce, del Sepolcro e della sua resurrezione, che quando è venuto a Gerusalemme per la sua volontaria passione, il popolo che si trovava nelle tenebre e nell’ombra della morte, prendendo i simboli della vittoria, i rami degli ulivi e le palme, preannunciava la resurrezione, Tu stesso, Sovrano, custodisci anche noi che, dietro al loro esempio, in questa vigilia di festa, portando in mano palme e rami d’ulivo, come la gente e i fanciulli che esclamavano osanna, affinché con inni, canti e lodi spirituali onoriamo la vivificante resurrezione al terzo giorno di Cristo Gesù, Signore nostro, col quale sei benedetto insieme al tuttosanto, buono e vivificante Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli.
PRIMA ANTIFONA
Igàpisa, òti isakùsete Kìrios tis fonìs tis dheìseòs mu.
SECONDA ANTIFONA
Epìstefsa, dhiò elàlisa, egò dhe etapinòthin sfòdhra.
Sòson imàs, Iiè Theù, o epì pòlu ònu kathesthìs, psàllondàs si: Allilùia.
TERZA ANTIFONA
Exomologhìsthe to Kirìo, oti agathòs, oti is ton eòna to èleos aftù.
Tin kinìn Anàstasin pro tu su pàthus pistùmenos, ek nekròn ìghiras ton Làzaron, Christè o Theòs; òthen ke imìs os i pèdhes, ta tis nìkis sìmvola fèrondes, si to nikitì tu thanàtu voòmen: Osannà en tis ipsìstis, evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu.
ISODHIKON
Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu. Theòs Kìrios ke epèfanen imìn.
Sòson imàs, Iiè Theù, o epì pòlu ònu kathesthìs, psàllondàs si. Alliluia.
TROPARI
Tin kinìn Anàstasin…
Sindafèndes si dhià tu vaptìsmatos, Christè o Theòs imòn, tis athanàtu zoìs ixiòthimen ti Anastàsi su ke animnùndes kràzomen: Osannà en tis ipsìstis, evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu.
To thròno en uranò, to pòlo epì tis ghis epochùmenos, Christè o Theòs, ton anghèlon tin ènesin, ke ton pèdhon anìmnisin prosedhèxo voòndon si: Evloghimènos o erchòmenos ton Adhàm anakalèsasthe.
EPISTOLA (Filip. 4,4-9)
Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!
VANGELO (Gv. 12,1-18)
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù. Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d’asina. Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto. Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno.
MEGALINARIO
Theòs Kìrios ke epèfanen imìn. Sistìsasthe eortìn ke agallòmeni, dhèfte megalìnomen Christòn, metà vaìon ke klàdhon ìmnis kravgàzondes: Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu Sotìros imòn.
KINONIKON
Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu. Allilùia.
Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:
Tin kinìn Anàstasin…
OPISTHAMVONOS
Imnùmen su, Christè o Theòs imòn, tin àfraston sinkatàvasin; òti thrònon èchon ton uranòn ke tin ghin ipopòdhion, uk apixìosas ek Parthènu aghìas sarkothìne ke techthìne os ànthropos, ke en fàtni alògon anaklithìne os vrèfos, allà ke pòlo epikathìse ke pàthos ekùsion ipèr imòn ipomìne paraghenòmenos; o tis asighìtis ìmnis ton uranìon Dhinàmeon theoprepòs animnùmenos, ke kenòn epì ghis ìmnon àse, tin apiròkakon plithìn esòfisas, ek stòmatos nipìon ke thilazòndon ènon katartisàmenos, ke glòsses psellizùses dhidhàxas lalìn tin en uranò dhòxan ke epì ghis irìnin, meth’òn ke imàs tus anaxìus dhùlus su pròsdhexe epinikìus odhàs prosadhondàs si to nikitì tu thanàtu, evloghimènon kirittondàs se ton en onòmati Theù proselthònda, mi ekstànda dhe tis patròas dhòxis, ke pàlin erchòmenon krìne tin ikumènin en dhikeosìni. Ke kataxìoson imàs tis sis epivàseos ke ipodhochìs, kosmìsas imàs tis katà ton pathòn nikitirìis agòsi, ke tis ton aretòn kàllesi stefanòsas andì vaìon ke klàdhon, ìna fedròs ipandisomèn si erchomèno epì ton nefelòn en dhòxi, ke tis sis vasilìas klironòmi ghenòmetha; ke tis pistìs àrchusi nìkas dhòrise katà ton polemìon; òti filànthropos ì ke dhedoxasmènos sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.
APOLISIS
O epì pòlu kathesthìne katadhexàmenos dhià tin imòn sotirìan…
Commento al Vangelo:
L’unzione di Betania ha alla base il simbolo del profumo prezioso di nardo, importato in Israele dall’India, del valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante. Esso è interpretato dall’evangelista come un’anticipazione della morte, sepoltura e unzione del corpo di Gesù, un pò come la risurrezione di Lazzaro era stata il segno della glorificazione del Risorto. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello della donna e quello di Giuda. La donna pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale al di sopra della persona di Cristo. Con un commento che manca nei sinottici, Giovanni sottolinea l’attaccamento di Giuda al denaro. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo.
La scena dell’entrata di Gesù a Gerusalemme, si svolge il giorno dopo l’episodio dell’unzione di Betania, dunque cinque giorni prima di Pasqua. Il particolare della folla che prende dei rami di palma, potrebbe ricordare la festa della Dedicazione del tempio dopo la profanazione di Antioco Epifanie: la folla si era recata con palme al tempio. È quindi possibile che essa sia andata incontro a Gesù come incontro a un re.
Giovanni sottolinea la portata messianica della scena mettendo, come i sinottici, sulle labbra della gente il Salmo 118, utilizzato per le grandi feste delle Capanne, di Pasqua e della Dedicazione, ma Giovanni è il solo che aggiunge al Salmo le parole “re d’Israele”.
Gesù non organizza il suo ingresso trionfale, come nei sinottici (in cui manda due discepoli a trovare l’asinello per la sua entrata), ma la sobrietà, anziché ridurre la gloria del Cristo, la esalta: “Gesù trovato un asinello, gli sedette in groppa”. Gesto senza parole e tuttavia significativo per la folla e soprattutto per i discepoli che lo rileggono a fatto compiuto.
Giovanni infatti ama ricordare che soltanto la risurrezione ha permesso di rileggere le Scritture capaci di chiarire il comportamento e, attraverso di esso, il mistero stesso di Gesù. Il comportamento di Gesù può essere interpretato come una rivelazione della sua identità messianica: egli è il re, ma cavalca un asinello alla maniera di Zaccaria che evoca l’evento di un messia mite e umile. Di fronte a questa manifestazione di tipo politico-nazionalistico che si svolgeva durante la festa della Dedicazione (la folla che gli andava incontro acclamava colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele), Gesù fa un gesto simbolico il cui senso non è accompagnato da alcuna parola, se non quella contenuta nel libro del profeta Zaccaria, accessibile ai suoi contemporanei che avevano familiarità con le Scritture.
Il vangelo di Giovanni collega e rilegge mirabilmente i tre tempi della storia della salvezza: l’Antico Testamento, il tempo storico di Gesù e l’evento pasquale. Per il credente, comprendere Gesù vuol dire partire dalla sua risurrezione attraverso la croce, e rileggere il suo percorso storico accompagnandosi con il grande libro della Bibbia.
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