15 luglio 2012
Omelia del Cardinale Paolo Romeo nel giorno del Festino.
Oggi la nostra Chiesa di Palermo rinnova la sua gioia e si ritrova unita e festante attorno alla sua Patrona, la vergine eremita Rosalia, le cui spoglie mortali sono racchiuse nella preziosa Urna argentea che in questi giorni veneriamo con particolare fede e devozione. Nel fare memoria del loro misterioso rinvenimento sul Monte Pellegrino, e del loro passaggio prodigioso per le vie di Palermo, celebriamo la presenza di Rosalia quale “compagna di viaggio” del popolo palermitano, che, dopo la liberazione prodigiosa dalla peste, in quella prima processione del 1624, si ritrova unito per implorarla coma avvocata, benefattrice, protettrice.
Questa sera, l’Urna argentea delle reliquie attraverserà in processione la Città, ricordandoci che la Santuzza – per così dire – scende dal Monte Pellegrino, ed esce dal suo eremitaggio per andare incontro ai suoi concittadini, per rimanere con loro e accanto ai loro problemi, alle loro fatiche quotidiane, alle difficoltà della loro esistenza. Stamattina, attorno a quest’Urna, la Città si ritrova insieme sotto il suo dolce sguardo, e, dunque, sotto lo sguardo di Dio, desiderosa di rendere sempre più vivo il passato e di affidare alla sua potente intercessione il suo futuro, invocandola contro i tanti bubboni di pestilenza che il male continua a generare e che offendono la dignità dei singoli e della comunità tutta.
Abbiamo ascoltato la pagina evangelica della parabola delle dieci vergini. Il Vangelo non condanna il sonno di queste donne, perché tutte e dieci, sia quelle stolte che quelle sagge, si addormentano nell’attesa dello sposo che tarda a venire. Condanna piuttosto la stoltezza di chi non pone rimedio sicuro a tale sonnolenza, di chi non fa scorta per tempo dell’olio per le lampade. Rimane emblematico, tuttavia, questo assopimento generale, sia delle vergini stolte che di quelle sagge. Sembra quasi che, nel cammino di fede e di vita incontro a Cristo Signore, nessuno sia escluso dal rischio del torpore, della rilassatezza, del sonno. Sembra che facilmente, anche semplicemente per distrazione, ci si possa dimenticare di vivere l’attesa di Cristo come tensione verso di lui e verso il suo amore.
Quanto è facile, dunque, addormentarsi! Quanto è facile farsi ingannare da quelli che possono sembrare i ritardi di Dio, le assenze di Dio! Dobbiamo ammettere che il nostro modo di vivere la fede cristiana all’interno dell’attuale e problematico contesto socio-culturale, si presenta stanco e intorpidito, incapace di mostrare questa tensione verso la santità in Cristo, incapace di leggere il modo in cui Dio si rivela nella realtà, anche misteriosamente. Ecco la necessità di procurare l’olio di riserva per i momenti in cui l’attesa si fa lunga, per i momenti in cui è più difficile rimanere fedeli a Cristo e al suo Vangelo, per i momenti in cui è più difficile vederne, sperarne, desiderarne il compimento.
Va fatta dunque una buona scorta di olio! Quale? L’austerità di Rosalia, la sua scelta forte di ritirarsi nell’eremo per una vita di preghiera e penitenza, ci insegnano anche oggi che questa scorta deve essere fatta con una perseverante preghiera, nella celebrazione dell’incontro quotidiano con il Dio della vita, proprio nel compimento ordinario dei doveri che sono connessi a ciascuno dei nostri stati di vita. Il tempo, che in Cristo è dono ed occasione di santificazione personale e comunitaria, è segno di una misericordia paterna e benevolente. Il tempo è fatto di opportunità per riconoscere la visita di Dio nella nostra vita, anche in quelle occasioni che sembrano non corrispondere alle nostre aspettative o ai nostri desideri. Ma per rendere pieno il tempo è necessario allenarsi a raccogliere la scorta d’olio per aver più luce nel momento del bisogno.
Rosalia ha saputo fare questa scorta nel suo eremitaggio. Noi dovremo farla in tutte quelle occasioni che, nella Chiesa, ci vengono proposte per coltivare e far crescere la nostra fede, per ancorarla sempre più a Dio e al suo primato nella nostra vita. Ed una di queste sarà l’Anno della fede che il Santo Padre Benedettop XVI ha indetto per il prossimo ottobre. Un anno in cui tutta la Chiesa si lascerà interpellare sulla propria fede in Cristo Salvatore, cercando di riscoprire tutta la forza della Risurrezione e la novità che essa può annunciare e portare nella vita degli uomini. C’è dunque la necessità di imitare Rosalia non in vuoti formalismi, né in religiosità di facciata, esteriori o spiritualistiche. C’è la necessità di rivedere la nostra vita “dal di dentro”.
San Paolo, nella seconda lettura ascoltata, prega il Padre perché i credenti siano “potentemente rafforzati nell’uomo interiore”, perché “il Cristo abiti per mezzo della fede nei loro cuori”, perché siano “radicati e fondati nella carità”. Riconosciamo che tutto questo il Padre lo ha compiuto nella vita e nell’esempio di Rosalia. Riconosciamo che il Padre continua a scrivere la storia della santità di questa Città anche con figure vicine al nostro tempo e alle nostre problematiche. Ed ecco ricevere, nei giorni scorsi, il dono della pubblicazione del Decreto sul martirio di don Pino Puglisi, sacerdote di questo presbiterio assassinato dalla mafia in odium fidei, fulgido esempio che si innesta nella schiera gloriosa dei santi della nostra Terra.
Il suo martirio è il coronamento di un’esistenza che è stata un “perdere la vita” nella sequela del Maestro Gesù. Un “perdere la vita” che ha trovato spazio prima di tutto nel suo quotidiano spendersi come pastore, nel trentennale esercizio del ministero presbiterale, nel suo umano incontrarsi con i bisogni della gente, nella sua condivisione semplice e spesso sofferta di tutte le problematiche dei fedeli a lui affidati. Rafforzato nell’uomo interiore, ricolmo dell’incontro quotidiano con Cristo, don Pino ha avvertito il dovere di annunciare un Vangelo che anche lui aveva ricevuto, di testimoniare quella familiarità con Cristo che gli aveva cambiato la vita. La radice di ogni sua ansia pastorale era comunicare a questi suoi figli che Gesù poteva camminare accanto a loro, specie condividendo il peso delle sofferenze e dei disagi che essi vivevano, a livello materiale, sociale, morale, spirituale. La sua alta statura è prima di tutto santità di vita, impegno diuturno di conversione e di testimonianza, e tutti ci sprona ad un rinnovato impegno per l’evangelizzazione e la promozione umana al servizio degli uomini e delle donne del nostro tempo
In Santa Rosalia, come pure nel Servo di Dio don Pino, riconosciamo che tutto questo deve divenire anche per noi realtà, e che potrà esserlo nella misura in cui accogliamo sempre più il Vangelo, per creare cuori nuovi che sappiano condividere le comuni responsabilità di un autentico rinnovamento personale e comunitario. Guardando al nostra realtà scorgiamo pestilenze materiali e morali, antiche e nuove, personali e comunitarie, diffuse o emergenti… Le ferite del peccato segnano la vita uomini e donne come noi, attorno a noi… In questo contesto il futuro si fa sempre più denso di incertezze, soprattutto in un momento in cui tocchiamo con mano una crisi che coinvolge l’uomo, che ne porta i tratti devastanti e disumanizzanti. Questa crisi – è necessario rendersene conto – non è soltanto economica, ma anche e soprattutto umana, culturale, sociale, religiosa,.
Senza Dio tutto si risolve nell’avvilimento e nella distruzione dell’uomo. Dio è garante dei migliori tratti di un’umanità sana, di uomini e donne che amano la vita. Ritornare a riconoscerlo come Padre significa aprire gli orizzonti di una fraternità vera, fondamento di una operosa solidarietà. Riconoscerlo come Figlio significa sperimentare il grande amore dimostrato con il sacrificio della croce che ci spinge ad una sollecitudine di carità verso tutti. Riconoscerlo come Spirito Santo significa far sì che la quotidianità sia costantemente rinnovata e fecondata da un’azione d’amore che va oltre le limitate capacità dell’uomo. Se non riscopriamo che la nostra vita necessita l’amore di Dio, la sua presenza, la sua azione di grazia, rischiamo di far morire definitivamente in noi la speranza, rischiamo di perdere l’appuntamento con la novità e con la santità.
Rosalia ha compreso tutto questo. È stata, cioè, in grado di “comprendere quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza”. Ha sperimentato l’amore di Dio e si è sentita attratta in modo pieno e definitivo, per risolvere la sua vita e darle un senso, un orientamento di verità e di bene senza precedenti, una novità senza eguali. Tale scelta esistenziale la portò a farsi Sposa del suo unico Signore Gesù Cristo, che – ci piace immaginare – la chiamò con le stesse parole del Cantico: “Alzati, amica mia, mia tutta bella, e vieni!”. Per Rosalia passava l’inverno della mondanità di corte, cessava la pioggia della pesante ricchezza che distrae, e sbocciava la novità della primavera dell’incontro con Dio, ricca di fiori e di frutti originati dalla preghiera e dalla penitenza, da quel rafforzamento dell’uomo interiore di cui ci parla l’apostolo Paolo.
Alla stessa maniera che per la Santuzza siamo chiamati ad accogliere la sfida della novità che germoglia nel cuore delle nostre scelte. Ci è richiesto di guardare con speranza al futuro, senza ridurre né semplificare le problematicità del presente, senza sterili polemiche circa il passato, ma impegnandoci ad accogliere il Cristo come fonte ed energia vitale del nostro pensare e del nostro agire. Rosalia continua a spronare tutti noi ad impegnarci per il Regno di Dio, rafforzando l’orientamento della nostra vita al Signore e promuovendo la giustizia, la solidarietà, la pacifica convivenza. Ci insegna che solo in un abbandono fiducioso e confidente nel Vangelo e nella sua novità sta la creatività del bene, il vero volto della libertà dell’uomo, la sua grandezza nel disegno della Creazione. Chiediamo a Rosalia il dono di farci sperimentare la presenza di Dio in questo tempo travagliato e complesso: chiediamo fiduciosi la sua intercessione perché lo Spirito ci renda strumenti sempre più impegnati nella costruzione del Regno di Dio in mezzo agli uomini.
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