27 marzo 2010

28 MARZO 2010
DOMENICA DELLE PALME

Troviamo la prima notizia di questa festa di origine gerosolimitana nel Diario di Viaggio della pellegrina Egeria, risalente agli anni 381-384.
“La domenica con cui inizia la settimana di Pasqua, che qui si chiama la grande settimana – ha scritto la nobildonna, - celebrate le funzioni come di consueto all’Anastasis, e alla Croce dal canto del gallo fino al mattino, la domenica mattina dunque ci si riunisce secondo il solito alla chiesa maggiore chiamata Martyrium (si chiama così perché si trova sul Golgota, vale a dire dietro la Croce, dove il Signore ha sofferto la passione, e perciò ha il nome di Martyrium). Quando alla chiesa maggiore sono state compiute tutte le celebrazioni, seguendo l’uso abituale, prima del congedo l’arcidiacono leva la sua voce e dice (…): Oggi, all’ora settima siamo tutti presenti all’Eleona. Tutti si affrettano a casa per mangiare, in modo da essere presenti all’inizio dell’ora settima nella chiesa dell’Eleona, quella che si trova sul Monte degli Ulivi dove c’è la grotta in cui insegnava il Signore. All’ora settima, dunque, tutto il popolo sale al Monte degli Ulivi, ossia all’Eleona, alla chiesa. Il vescovo prende posto; si dicono inni e antifone appropriati al giorno e al luogo, come lo sono le letture. Appena iniziata l’ora nona subito si raggiunge con inni l’Imbonon, luogo da cui il Signore ascese al cielo, e là ci si siede: tutto il popolo, infatti, sempre alla presenza del vescovo è invitato a sedersi. Solo i diaconi rimangono sempre in piedi. Anche qui si dicono inni e antifone appropriati al giorno e al luogo, e lo stesso si fa per le letture che si intercalano e per le preghiere. Allorchè comincia l’ora undicesima si legge il brano evangelico in cui i bambini con rami e con palme vanno incontro al signore, dicendo: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Tutti i bambini del luogo, anche quelli che non sanno ancora camminare perché troppo piccoli e che sono portati a cavalcioni dai genitori, tutti hanno dei rami, chi di palma, chi di ulivo; così la folla accompagna il vescovo nello stesso modo in cui quel giorno venne accompagnato il signore. Dall’alto del monte fino alla città e di qui, attraversandola tutta, fino all’Anastasis tutti quanti fanno il percorso interamente a piedi, anche se vi sono dame o personaggi insigni. In tal maniera scortano il vescovo rispondendo ai salmi. Così, procedendo piano piano perché la gente non si affatichi, si arriva all’Anastasis che è già sera. Giunti là, benché sia tardi, si celebra il lucernale, si fa ancora una preghiera alla Croce e si rimanda il popolo”.
Sin dal sec. II, l’entrata trionfale di Cristo nella Città santa, compiuta secondo la profezia di Zaccaria che diceva: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re, Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina”, è stata considerata come una delle sue più grandi affermazioni di messianità.
Si legge, infatti, nell’opera di Giustino, il Dialogo con Trifone: “L’ingresso di Gesù a Gerusalemme non ha realizzato in sé la potenza che lo ha fatto Cristo, ma ha indicato agli uomini che egli era Cristo”.
Con il tempo la commemorazione gerosolimitana crebbe di importanza e di solennità cosicchè, nel sec. VI, la si trova presso tutte le Chiese orientali, mentre le prime tracce in Occidente si hanno circa un secolo dopo, nelle opere di Isidoro di Siviglia (+636).

(Tratto da Gaetano Passarelli, L'Icona dell'Entrata in Gerusalemme, La Casa di Matriona Milano 1993)

PREGHIERA PER LA BENEDIZIONE DELLE PALME

Signore Dio nostro che sei assiso sui Cherubini, che hai innalzato la tua potenza ed hai inviato il tuo Figlio Unigenito, il Signore nostro Gesù Cristo per salvare il mondo per mezzo della Croce, del Sepolcro e della sua resurrezione, che quando è venuto a Gerusalemme per la sua volontaria passione, il popolo che si trovava nelle tenebre e nell’ombra della morte, prendendo i simboli della vittoria, i rami degli ulivi e le palme, preannunciava la resurrezione, Tu stesso, Sovrano, custodisci anche noi che, dietro al loro esempio, in questa vigilia di festa, portando in mano palme e rami d’ulivo, come la gente e i fanciulli che esclamavano osanna, affinché con inni, canti e lodi spirituali onoriamo la vivificante resurrezione al terzo giorno di Cristo Gesù, Signore nostro, col quale sei benedetto insieme al tuttosanto, buono e vivificante Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

PRIMA ANTIFONA

Igàpisa, òti isakùsete Kìrios tis fonìs tis dheìseòs mu.

SECONDA ANTIFONA

Epìstefsa, dhiò elàlisa, egò dhe etapinòthin sfòdhra.

Sòson imàs, Iiè Theù, o epì pòlu ònu kathesthìs, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Exomologhìsthe to Kirìo, oti agathòs, oti is ton eòna to èleos aftù.

Tin kinìn Anàstasin pro tu su pàthus pistùmenos, ek nekròn ìghiras ton Làzaron, Christè o Theòs; òthen ke imìs os i pèdhes, ta tis nìkis sìmvola fèrondes, si to nikitì tu thanàtu voòmen: Osannà en tis ipsìstis, evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu.

ISODHIKON

Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu. Theòs Kìrios ke epèfanen imìn.

Sòson imàs, Iiè Theù, o epì pòlu ònu kathesthìs, psàllondàs si. Alliluia.

TROPARI

Tin kinìn Anàstasin…

Sindafèndes si dhià tu vaptìsmatos, Christè o Theòs imòn, tis athanàtu zoìs ixiòthimen ti Anastàsi su ke animnùndes kràzomen: Osannà en tis ipsìstis, evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu.

To thròno en uranò, to pòlo epì tis ghis epochùmenos, Christè o Theòs, ton anghèlon tin ènesin, ke ton pèdhon anìmnisin prosedhèxo voòndon si: Evloghimènos o erchòmenos ton Adhàm anakalèsasthe.

EPISTOLA (Filip. 4,4-9)

Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!

VANGELO (Gv. 12,1-18)

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me”. Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù. Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d’asina. Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto. Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno.

MEGALINARIO

Theòs Kìrios ke epèfanen imìn. Sistìsasthe eortìn ke agallòmeni, dhèfte megalìnomen Christòn, metà vaìon ke klàdhon ìmnis kravgàzondes: Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu Sotìros imòn.

KINONIKON

Evloghimènos o erchòmenos en onòmati Kirìu. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Tin kinìn Anàstasin…

OPISTHAMVONOS

Imnùmen su, Christè o Theòs imòn, tin àfraston sinkatàvasin; òti thrònon èchon ton uranòn ke tin ghin ipopòdhion, uk apixìosas ek Parthènu aghìas sarkothìne ke techthìne os ànthropos, ke en fàtni alògon anaklithìne os vrèfos, allà ke pòlo epikathìse ke pàthos ekùsion ipèr imòn ipomìne paraghenòmenos; o tis asighìtis ìmnis ton uranìon Dhinàmeon theoprepòs animnùmenos, ke kenòn epì ghis ìmnon àse, tin apiròkakon plithìn esòfisas, ek stòmatos nipìon ke thilazòndon ènon katartisàmenos, ke glòsses psellizùses dhidhàxas lalìn tin en uranò dhòxan ke epì ghis irìnin, meth’òn ke imàs tus anaxìus dhùlus su pròsdhexe epinikìus odhàs prosadhondàs si to nikitì tu thanàtu, evloghimènon kirittondàs se ton en onòmati Theù proselthònda, mi ekstànda dhe tis patròas dhòxis, ke pàlin erchòmenon krìne tin ikumènin en dhikeosìni. Ke kataxìoson imàs tis sis epivàseos ke ipodhochìs, kosmìsas imàs tis katà ton pathòn nikitirìis agòsi, ke tis ton aretòn kàllesi stefanòsas andì vaìon ke klàdhon, ìna fedròs ipandisomèn si erchomèno epì ton nefelòn en dhòxi, ke tis sis vasilìas klironòmi ghenòmetha; ke tis pistìs àrchusi nìkas dhòrise katà ton polemìon; òti filànthropos ì ke dhedoxasmènos sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O epì pòlu kathesthìne katadhexàmenos dhià tin imòn sotirìan…

Commento al Vangelo:
L’unzione di Betania ha alla base il simbolo del profumo prezioso di nardo, importato in Israele dall’India, del valore di trecento denari, quasi il salario annuale di un bracciante. Esso è interpretato dall’evangelista come un’anticipazione della morte, sepoltura e unzione del corpo di Gesù, un pò come la risurrezione di Lazzaro era stata il segno della glorificazione del Risorto. In questa scena ci sono due sguardi contrapposti su Gesù: quello della donna e quello di Giuda. La donna pone Gesù al di sopra di tutto e indica un amore illimitato. Giuda pone il valore commerciale al di sopra della persona di Cristo. Con un commento che manca nei sinottici, Giovanni sottolinea l’attaccamento di Giuda al denaro. Maria, quindi, simboleggia qui il vero discepolo che riconosce che Gesù vale di più di tutto l’oro del mondo.
La scena dell’entrata di Gesù a Gerusalemme, si svolge il giorno dopo l’episodio dell’unzione di Betania, dunque cinque giorni prima di Pasqua. Il particolare della folla che prende dei rami di palma, potrebbe ricordare la festa della Dedicazione del tempio dopo la profanazione di Antioco Epifanie: la folla si era recata con palme al tempio. È quindi possibile che essa sia andata incontro a Gesù come incontro a un re.
Giovanni sottolinea la portata messianica della scena mettendo, come i sinottici, sulle labbra della gente il Salmo 118, utilizzato per le grandi feste delle Capanne, di Pasqua e della Dedicazione, ma Giovanni è il solo che aggiunge al Salmo le parole “re d’Israele”.
Gesù non organizza il suo ingresso trionfale, come nei sinottici (in cui manda due discepoli a trovare l’asinello per la sua entrata), ma la sobrietà, anziché ridurre la gloria del Cristo, la esalta: “Gesù trovato un asinello, gli sedette in groppa”. Gesto senza parole e tuttavia significativo per la folla e soprattutto per i discepoli che lo rileggono a fatto compiuto.
Giovanni infatti ama ricordare che soltanto la risurrezione ha permesso di rileggere le Scritture capaci di chiarire il comportamento e, attraverso di esso, il mistero stesso di Gesù. Il comportamento di Gesù può essere interpretato come una rivelazione della sua identità messianica: egli è il re, ma cavalca un asinello alla maniera di Zaccaria che evoca l’evento di un messia mite e umile. Di fronte a questa manifestazione di tipo politico-nazionalistico che si svolgeva durante la festa della Dedicazione (la folla che gli andava incontro acclamava colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele), Gesù fa un gesto simbolico il cui senso non è accompagnato da alcuna parola, se non quella contenuta nel libro del profeta Zaccaria, accessibile ai suoi contemporanei che avevano familiarità con le Scritture.
Il vangelo di Giovanni collega e rilegge mirabilmente i tre tempi della storia della salvezza: l’Antico Testamento, il tempo storico di Gesù e l’evento pasquale. Per il credente, comprendere Gesù vuol dire partire dalla sua risurrezione attraverso la croce, e rileggere il suo percorso storico accompagnandosi con il grande libro della Bibbia.

25 marzo 2010

ORARI DELLE CELEBRAZIONI DELLA GRANDE E SANTA SETTIMANA

VENERDI’ PRIMA DELLE PALME
(26 MARZO 2010)
Ore 17.00: Via Crucis e Divina Liturgia dei Presantificati
Ore 21.00: Compieta e canto del “Lazzaro” per le vie del paese

SABATO DEL SANTO E GIUSTO LAZZARO
(27 MARZO 2010)
Ore 10.00: Divina Liturgia
Ore 18.00: Vespro delle Palme

DOMENICA DELLE PALME
(28 MARZO 2010)
Ore 09.00: Divina Liturgia (Chiesa S. Giovanni Battista)
Ore 11.00: Benedizione dei ramoscelli d’ulivo e Divina Liturgia
Ore 18.30: Mattutino dello Sposo con venerazione dell’Icona

SANTO E GRANDE LUNEDI’
(29 MARZO 2010)
Ore 09.30: Divina Liturgia dei Presantificati
Ore 18.30: Mattutino dello Sposo

SANTO E GRANDE MARTEDI’
(30 MARZO 2010)
Ore 09.30: Divina Liturgia dei Presantificati
Ore 18.30: Mattutino dello Sposo

SANTO E GRANDE MERCOLEDI’
(31 MARZO 2010)
Ore 09.30: Divina Liturgia dei Presantificati
Ore 18.30: Ufficiatura dell’Olio Santo per l’unzione dei fedeli

SANTO E GRANDE GIOVEDI’
(01 APRILE 2010)
Ore 10.00: Vespro e Divina Liturgia di S. Basilio
Ore 20.30: Ufficio delle Sante e Immacolate Sofferenze del Signore nostro Gesù Cristo

SANTO E GRANDE VENERDI’
(02 APRILE 2010)
Ore 10.00: Recita delle Ore I e III
Ore 12.00: Recita delle Ore VI e IX
Ore 15.30: Via Crucis al Calvario
Ore 20.30: Vespro della Deposizione e Mattutino delle Lamentazioni

SANTO E GRANDE SABATO
(03 APRILE 2010)
Ore 10.00: Vespro e Divina Liturgia di S. Basilio
Ore 23.00: Mesonyktikon, Mattutino della Resurrezione, Divina Liturgia e canto del “Christòs Anèsti” per le vie del paese.

SANTA E GRANDE DOMENICA DI PASQUA
(04 APRILE 2010)
Ore 11.00: Divina Liturgia

LUNEDI’ DEL RINNOVAMENTO
(05 APRILE 2010)
Ore 09.00: Divina Liturgia

MARTEDI’ DEL RINNOVAMENTO
FESTA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE
(06 APRILE 2010)
Ore 09.00: Divina Liturgia
Ore 11.00: Divina Liturgia celebrata dal Protosincello dell’Eparchia, l’Archimandrita Antonino Paratore
Ore 19.00: Ufficiatura della Paraklisis
Ore 19.30: Processione con il simulacro della Madonna delle Grazie
25 MARZO 2010
ANNUNCIAZIONE DELLA SANTISSIMA MADRE DI DIO E SEMPRE VERGINE MARIA



“Oggi è giunta la gioia di tutti, che scioglie la primitiva condanna. Oggi è giunto Colui che è dovunque, per riempire di gioia tutte le cose”, con queste parole Andrea di Creta (660-740) inizia l’omelia per la festa dell’Annunciazione.
Questa solennità, canto proemiale di una gioia indicibile, affonda le sue radici nei primi secoli. Allo sviluppo della festa concorsero due linee convergenti: una derivata da omileti di tendenza antiariana, che volevano dimostrare in Cristo la sussistenza non solo dell’umanità ma anche della divinità; l’altra sicuramente influenzata dalla letteratura in lingua aramaica, che aveva sviluppato il concetto di Maria seconda Eva.
Tali testimonianze, tuttavia, parlano del mistero nelle controversie dogmatiche del loro tempo, mentre dei chiari riferimenti ad una solennità liturgica dell’Annunciazione si hanno solo all’epoca dell’imperatore Giustiniano (VI sec.).
La festività fu introdotta nella chiesa romana da papa Sergio I (687-701), un italo-siro proveniente probabilmente dalla Sicilia. Per tale occasione era prevista una solenne processione a S. Maria Maggiore, basilica i cui mosaici erano legati alla divina maternità (theotokos) di Maria stabilita dal Concilio di Efeso (431).
Sin dall’inizio la festa fu celebrata il 25 marzo, equinozio di primavera, tempo in cui, secondo le concezioni antiche, fu creato il mondo ed il primo uomo. Ben presto, però, data la popolarità e la solennità assunta dalla festa, sorse un conflitto di natura liturgica: secondo l’antica regola di austerità quaresimale era esclusa qualsiasi solennità fino a Pasqua.
Per la chiesa bizantina se ne occupò il Concilio di Costantinopoli, detto in Trullo, del 692 che nel canone 52° stabilì che la festa dell’Annunciazione venisse celebrata con tutta solennità in qualsiasi tempo cadesse.
Così nelle chiese di tradizione bizantina si sviluppò un particolare sistema di rubriche liturgiche atte a combinare la festa dell’Annunciazione con i più complessi uffici quaresimali e della settimana santa. Infatti, anche il venerdì santo diventa giorno liturgico in cui si celebra la Divina Eucarestia se dovesse cadere il 25 marzo.
In Spagna, invece, il concilio di Toledo del 656 stabiliva che la ricorrenza dell’Annunciazione fosse fissata il 18 dicembre. Tale decisione, adottata in quasi tutto l’Occidente, fu recepita dalla chiesa romana solo nel sec. XVII.
Il tema teologico ed iconografico bizantino ha allora avuto uno sviluppo particolare.
I testi di questa festa hanno beneficiato di una lunga tradizione biblica e patristica che include il contributo della letteratura apocrifa, in modo particolare del Protovangelo di Giacomo e dello Pseudovangelo di Matteo.
L’iconografia sembra aver sintetizzato l’apporto di questa molteplicità di tradizioni che pur hanno una radice comune nel Vangelo di Luca (1,26-38), nel quale è contenuta l’essenza del credo dei primi cristiani sull’incarnazione: Gesù è stato concepito per opera dello Spirito santo ed è nato da una Vergine. Su tale verità di fondo si è sviluppata quella necessità dell’uomo e del credente di mescolare soavità di sentimenti e dramma personale.
Le chiese di tradizione bizantina hanno dotato questa solennità liturgica di una pre-festa (il 24 marzo), di una splendida ufficiatura e numerosi inni tra i quali il canone in nove odi di Teofane Graptos, uno strenuo difensore delle icone al tempo della controversia sulla venerazione delle icone.
Ciò che maggiormente colpisce di questa festa è il senso della gioia, talvolta contenuta, ma sempre profonda, che traspare dagli inni, dalle preghiere, dalle icone, dalle omelie, dove prevale il metodo del dialogo a battute drammatiche.

(Tratto da Gaetano Passarelli, L'Icona dell'Annunciazione, La Casa di Matriona Milano 1988)

PRIMA ANTIFONA

O Theòs, to krìma su to vasilì dhos, ke tin dhikeosìnin su to iiò tu vasilèos.

SECONDA ANTIFONA

Katavìsete os ietòs epì pòkon, ke osì stagòn i stàzusa epì tin ghin.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu sarkothìs, psaàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Èste to ònoma aftù evloghimènon is tus eònas, pro tu ilìu dhiamèni to ònoma aftù.

Sìmeron tis sotirìas imòn to kefàleon, ke tu ap’eònos Mistirìu i fanèrosis; o Iiòs tu Theù Iiòs tis Parthènu ghìnete, ke Ghavriìl tin chàrin evanghelìzete. Dhiò sin aftò ti Theotòko voìsomen: Chère, kecharitomèni, o Kìrios metà su.

ISODHIKON

Evanghelìzete imèran ex imèras to sotìrion tu Theù imòn.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu sarkothìs, psallondàs si: Allilùia.

TROPARI

Sìmeron tis sotirìas…

Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa ton dhinòn evcharistìria anagràfo si i Pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon elefthèroson, ìna kràzo si: Chère, Nìmfi anìmfevte.

EPISTOLA (Eb. 2,11-18)

Fratelli, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi; e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccoci, io e i figli che Dio mi ha dato. Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

VANGELO (Lc. 1,24-38)

In quei giorni, Elisabetta, moglie di Zaccaria, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: “Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini”. Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei.

MEGALINARIO

Evanghelìzu, ghi, charàn megàlin, enìte, uranì, Theù tin dhòxan. Os empsìcho Theù kivotò Psavèto midhamòs chir amiìton; Chìli dhe pistòn ti Theotòko asighìtos Fonìn tu Anghèlu anamèlponda, en agalliàsi voàto: Chère, Kecharitomèni, o Kìrios metà su.

KINONIKON

Exelèxato Kìrios tin Siòn, iretìsato aftìn is katikìan eaftò. Allilùia.

OPISTHAMVONOS

Kìrie o Theòs o pandokràtor, o evdokìsas ton monoghenì su Iiòn sarkothìne ex apirogàmu ghinekòs, ke enanthropìse dhià tin imòn sotirìan, apèstilas dhe ton son archànghelon Gavriìl tin aftù àsporon sìllipsin evanghelizòmenon ti aghìa Parthèno Marìa, in proòrisas pro ton eònon ergastìrion ghenèsthe tiùtu foverù mistirìu, prognosthèndos si ke aftò to sinaidhìo su Lògo, aftòs, tes presvìes aftìs ke pàndon ton Aghìon su, evanghèlison tes psichès imòn dhià tis sis chàritos tin ton amartimàton àfesin ke charàn anafèreton; làlison irìnin epì ton laòn su; gnòrison imìn odhòn, en i porefthèndes evarestìsomen ti si epuranìo vasilìa; dhià ton iktirmòn tu Christù su, meth’u evloghitòs i, sin to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

Commento al Vangelo:
La scena non si svolge nello scenario prestigioso del tempio, ma più modestamente "in una città della Galilea", in una casa privata. Che la rivelazione sia fatta alla futura madre e non più al padre costituisce una differenza poco rilevante: i modelli dell’Antico Testamento possono infatti mettere in scena una donna. Molto più significativa è la verginità di Maria. Per dono di Dio, Elisabetta ha concepito un figlio da suo marito; Maria è soltanto sposa promessa, non ha ancora potuto condurre vita comune con Giuseppe. Se la nascita di Giovanni è straordinaria, quella di Gesù lo è ancora di più.
La verginità di Maria spiega anche un'importante differenza nello schema dell'annuncio. La giovane donna muove un'obiezione al messaggio celeste ponendo una domanda analoga a quella del sacerdote Zaccaria: "Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo? (v. 34). Ora, questa volta, l'angelo non la riterrà assolutamente una mancanza di fede; egli risponde alla domanda senza farvi obiezione e dà a Maria un segno che, al contrario di quello ricevuto da Zaccaria, non costituisce un castigo: la sua parente è incinta.
Il fatto è che Maria si trova di fronte a una situazione radicalmente nuova nella Bibbia la quale non parla di concepimento senza unione, mentre il marito di Elisabetta conosceva perfettamente la storia di Abramo, identica alla sua.
Le due annunciazioni parallele divergono, quindi, su questo punto, e al silenzio forzato del sacerdote si oppone la docile accettazione della "serva del Signore" che si sottomette alla "parola"; in questo modo, la "parola" è adempiuta. Maria si definirà di nuovo col nome di "serva": una parola che Luca adopera altrove per designare i membri della Chiesa.
Nel gioco delle uguaglianze e delle differenze il racconto dell’annuncio a Maria assume toni e colori che altrimenti non avremmo notato.
Il primo quadro è sostanzialmente celebrativo. Zaccaria ed Elisabetta sono descritti come “giusti davanti a Dio” e osservanti rigorosi di tutte le leggi del Signore. Nulla di celebrativo, invece, nel secondo quadro. Nessun cenno alle virtù di Maria, né alla sua preghiera, né alla sua attesa. Tutto è dalla parte di Dio, pura grazia.
Nel primo quadro è l’osservanza della legge che viene premiata, nel secondo è la grazia che viene proclamata. La legge e la grazia: due parole che già dicono la differenza fra l’antico e il nuovo. Lo scenario del primo quadro è grandioso e solenne: nel tempio, durante una liturgia, un sacerdote nell’esercizio della sua funzione, sullo sfondo il popolo in attesa. Il secondo quadro è privo di ogni scenario, come già si è avuto modo di notare.
Il confronto mostra, dunque, un continuo alternarsi di grandezza e piccolezza, solennità e semplicità, che già lascia intravedere i tratti nuovi e inconfondibili del volto di Dio che si è manifestato in Gesù di Nazaret. Da una parte il divino si mostra con tratti di grandiosità e solennità, dall’altra si mostra nella più assoluta semplicità, e proprio per questo svela un volto inatteso e sorprendente. Da una parte l’osservanza della legge, dall’altra la grazia. Da una parte l’uomo che entra nella casa di Dio, dall’altra Dio che entra nella casa dell’uomo.
"Sesto mese": dal concepimento, cioè, del Battista.
"Nazaret": una città insignificante, mai menzionata nell’Antico Testamento disprezzata dagli stessi palestinesi del tempo di Gesù e abitata da gente gelosa e materialista.
"Vergine": Luca pone due volte l'accento sulla verginità di Maria.
"Maria": "Mirjam" significa "esaltata". Giuseppe, fidanzato di Maria, sembra essere stato di origine giudaica, forse un abitante di Betlemme. Attraverso Giuseppe, pertanto, in quanto suo padre legale, e non attraverso Maria, Gesù eredita una rivendicazione al trono di Davide.
"Ti saluto": questo saluto assume il significato di un invito alla gioia: “gioisci”. Nei passi citati è invitata a gioire la figlia di Sion. Prima di chiamare a una missione, Dio invita alla gioia. La “lieta notizia” precede sempre ogni missione. Il contenuto della lieta notizia è detto subito dopo: la certezza della presenza del Signore (“il Signore è con te”) e il suo amore gratuito e fedele.
"Piena di grazia": (kecharitomene) il verbo dice fondamentalmente l’amore gratuito. La forma passiva suggerisce che il soggetto è Dio, il tempo perfetto che si tratta di un’azione stabile. Si può perciò tradurre con “amata gratuitamente e stabilmente”.
"Il Signore è con te": affidando una missione, Dio assicura sempre la sua presenza, che tuttavia non sottrae alle difficoltà né alle debolezze. Alcuni manoscritti greci secondari (il Codice Alessandrino, un manoscritto di Sant' Efrem, ecc…) aggiungono: "Tu sei benedetta fra le donne".
"Concepirai un figlio e lo chiamerai Gesù": Maria comprese che l'angelo le stava annunziando che suo figlio sarebbe stato divino, la seconda persona della santissima Trinità? Andrebbe ricordato quanto segue: innanzitutto Luca non sta scrivendo il diario del giorno dell'annunciazione, ma un vangelo di salvezza. In secondo luogo, Maria in quanto "donna del popolo" non era certo abituata a pensare nei termini filosofici più tardivi di persona e natura (Gesù è una persona, ma ha due nature: divina e umana) e sarà stata invece impressionata dalla potenza e dall'infinità bontà divina nelle parole e nelle opere di Gesù. Il racconto dell'infanzia, composto in un periodo post-pentecostale suggerisce abbastanza chiaramente la divinità di Gesù. Il testo lucano si ispira a Zaccaria e Gioele nel descrivere l'era messianica e la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. L'Antico Testamento non afferma la presenza di Dio in una persona umano-divina, ciò che invece fa Luca applicando molto accuratamente i testi a Gesù.
"Non conosco uomo": il fidanzamento di Maria con Giuseppe indica che essa pensava a una vita matrimoniale normale. Gli studiosi, circa quest'obiezione di Maria, danno varie soluzioni:
1) Maria, pensando che l'angelo parlasse di una concezione immediata, obiettò che i rapporti matrimoniali non erano permessi fino al termine dell'anno del fidanzamento.
2) Un'opinione comunemente sostenuta da esegeti cattolici ritiene che Maria aveva fatto un voto di verginità perpetua già prima del suo fidanzamento con Giuseppe; Giuseppe avrebbe accettato il matrimonio a questa insolita condizione.
3) Altri pensano che Maria decise di fare il voto di perpetua verginità al momento dell'annunciazione o a motivo del segno richiesto in Is. 7,14 oppure a causa dell'impellente necessità del mistero della divina maternità.
"Ti coprirà della sua ombra": l'ombra dello Spirito che copre Maria richiama la nube che riempì il tempio di Gerusalemme. La discesa dello Spirito Santo di Dio e la proclamazione del Figlio di Dio danno al versetto un tono apocalittico. Sia il tema del tempio che lo spirito escatologico esigono la verginità o la continenza, virtù richiesta dalla Bibbia nei fedeli e nei guerrieri. La verginità di Maria è in tal modo un richiamo alla lotta apocalittica della croce e all'ambiente liturgico della Chiesa primitiva.
"Nulla è impossibile a Dio": la verginità di Maria rivela una nuova dimensione e nuovo e profondo significato: quello della fiducia e dell'obbedienza totale a Dio, così come Osea raffigura Israele nel suo ruolo di vergine sposa di Dio.
“Eccomi!”: dice la prontezza dell’obbedienza. Secondo la Bibbia è questo “eccomi” che dice l’identità dell’uomo davanti a Dio. Il nome di Dio è: “Io sono colui che è qui con te”. Il nome dell’uomo è “Eccomi”.
“La serva del Signore”: è questo il terzo nome di Maria che compare nel racconto. Il narratore l’ha chiamata “Maria”, l’angelo “amata gratuitamente per sempre”, Maria chiama se stessa “serva”. Il primo è il nome dell’anagrafe: serve a distinguere Maria dalle altre donne. Il secondo è invece il nome davanti a Dio che svela la profonda identità (amata). Il terzo (serva) è il nome che dice la missione di Maria, il suo modo di stare davanti a Dio e agli uomini.

20 marzo 2010

21 MARZO 2010
V Domenica di Quaresima – S. Maria egiziaca, penitente nella valle del Giordano – S. Giacomo il confessore, vescovo



TROPARI

Della Domenica: Tu lìthu sfraghisthèndos ipò tòn Iudhèon ke stratiotòn filassònton tòn achrandòn su sòma, anèstis triìmeros, Sotìr, dhorùmenos to kosmo tin zoìn; dhià tùto e dhinàmis tòn uranòn evòon si, Zoodhòta: Dhòxa ti anastàsi su, Christè; dhòxa ti vasilìa su; dhòxa tì ikonomìa su, mòne filànthrope.

Della Santa: En si, Mìter, akrivòs dhiesòthi to kat’ikòna lavùsa gar ton stavròn, ikolùthisas to Christò, ke pràttusa edhidaskes, iperoràn men sarkòs, parèrchete gar epimelìsthe dhe psichìs, pràgmatos athanàtu dhiò ke metà Anghèlon sinagàllete, osìa Marìa, to pnèvma su.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa, ton dhinòn evcharistìria, anagràfo si i pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon eleftèroson, ìna kràzo si: Chère, Nimfi anìmfevte.

EPISTOLA (Eb. 9,11-14)

Fratelli, Cristo venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?

VANGELO (Mc. 10,32-45)

In quel tempo, Gesù prendendo in disparte i suoi Discepoli, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà”. E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”. All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu tòn fostìra tòn fainòn tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes imnìsomen.

OPISTHAMVONOS

O Cristo Dio nostro, sei tu che con sapienza e potenza distribuisci le ricchezze e le togli, tu che per noi ti sei fatto povero al fine di arricchirci della tua povertà. Sii tu pure, o Signore, a versare i tesori delle tue misericordie su noi peccatori che privi dei tuoi beni abbiamo bisogno della tua clemenza, poiché ricchi solo di peccati devi liberarci da ogni malvagità, per rivestirci di ogni virtù, avendo bisogno di opere buone. Signore, liberaci dalla terribile condanna inflitta al ricco che non ebbe compassione per Lazzaro, e facci partecipi dell’eterno riposo del povero Lazzaro con Abramo; né ci sia di condanna la porpora spirituale di cui ci rivestisti e da noi deturpata, quella porpora che è la santificazione del tuo Sangue e il mistico bisso che è lo splendore da te donatoci col Battesimo; rendici degni di risplendere col dominio delle passioni e con la purezza della vita quasi indumenti sacri e regali con cui meritare il regno eterno. Signore, tu sei misericordioso e glorioso col Padre e con lo Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
"Gesù cammina innanzi a loro": i rabbini erano soliti precedere i loro discepoli; qui però si vuole indicare l'impazienza di Gesù di "salire a Gerusalemme" e attuare il suo destino messianico.
"Essi erano turbati": il loro stupore e la loro paura sono meglio spiegati da quanto segue.
"Il Figlio dell'uomo sarà dato in mano...": la predizione attinge chiaramente al racconto della passione. Come nelle due precedenti predizioni si nota qui un tono anti-giudaico, e i gentili sono presentati quali meri esecutori di una sentenza di morte decisa dai sommi sacerdoti e dagli scribi.
Partendo dall'interrogativo dei figli di Zebedeo, Gesù riprende il discorso della Croce precisandone il significato. Il tema della Croce non è certo nuovo in Marco, ma nuovo è il contesto in cui avviene (vi è un chiaro riferimento all'autorità e al suo esercizio) e nuovo è il termine "riscatto".
Per avviarci a comprendere l'originalità della concezione cristiana dell'autorità, Cristo si serve di due paragoni, uno negativo e l'altro positivo. Non concepire l'autorità - dice Gesù - e non esercitarla al modo dei principi di questo mondo: nella misura in cui i modi coi quali esercitate la vostra autorità assomigliano a quelli delle altre autorità, insospettitevi. Ispiratevi, invece, all'esempio del Figlio dell'uomo che viene a servire, non ad essere servito. Dunque l'autorità deve concepirsi come il luogo in cui la logica della Croce si fa più chiara, emergente, ed è proprio in questa emergenza che l'autorità trova la sua giustificazione.
Il termine "riscatto" rievoca un contesto giuridico che tutti conosciamo: quando un uomo cade in schiavitù e non può pagare il riscatto, tocca al suo parente più prossimo pagare al suo posto. È quanto ha fatto Jahwè nei confronti di Israele. Ciò che è in primo piano non è l'esigenza di giustizia, una giustizia che comunque deve essere fatta, anche a costo che sia un altro a pagare. In primo piano è la "solidarietà": il parente non deve prendere le distanze, ma sentirsi coinvolto e solidale al punto da sostituirsi. Ecco la logica della Croce: l'ostinata solidarietà, imitazione e prolungamento dell'alleanza di Dio rivelatasi a noi in Gesù Cristo. È questa la sequela che tutti devono vivere e l'autorità che tutti devono esercitare.
"Concedici di sedere": la richiesta si rifà alla promessa di Gesù dei 12 troni; qui si tratta di occupare o meno i posti d'onore.
"Potete bere il calice?": qui è una figura della morte di Gesù come qualcosa che i due fratelli devono condividere.
"Non sta a me concederlo": Gesù può soltanto indicare la via che porta a questa gloria attraverso la sua morte; ma soltanto Dio può concederla, perlomeno fino a quando Gesù abbia ricevuto la pienezza della sua autorità messianica attraverso la sua risurrezione.
I discepoli dovranno capovolgere il comportamento abituale di coloro che sono in autorità e che governano con la forza, la loro nuova norma di condotta - essere servi di tutti - è resa possibile dalla stessa missione di servizio di Gesù.
"Il Figlio dell'uomo è venuto per servire": l'uso del titolo "Figlio dell'uomo", che denota l'autorità di Gesù, accentua il paradosso della sua volontaria sottomissione.
"Per dare la vita in riscatto": questa frase, modellata su Is. 53,10-12 specifica il senso del servizio di Gesù come una morte espiatrice per tutti gli uomini. La rarità con la quale Gesù descrive la sua missione nei termini di Is. 53, e il fatto che questi testi si trovano unicamente nella fonte marciana, ha indotto Jeremias a supporre che Gesù abbia confidato la sua rivelazione soltanto ai suoi discepoli più intimi.

13 marzo 2010

14 MARZO 2010
IV Domenica di Quaresima – S. Giovanni Climaco, scrittore della Scala – S. Benedetto

TROPARI

Della Domenica: Ex ìpsus katìlthes o Efsplachnos, tafìn katedhèxo triìmeron, ìna imàs elefthèrosis ton pathòn: I zoì ke i Anàstasis imòn, Kìrie, dhòxa si.

Del Santo: Tes ton dhakrìon su roès, tis erìmu to àgonon egheòrghisas, ke tis ek vàthus stenagmìs, is ekatòn tus pònus ekarpofòrisas, ke ghègonas fostìr, ti ikumèni làmbon tis thàvmasin, Ioànni Pàter imòn òsie. Prèsveve Christò to Thèo, sothìne tas psichàs imòn.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa, ton dhinòn evcharistìria, anagràfo si i pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon eleftèroson, ìna kràzo si: Chère, Nimfi anìmfevte.

EPISTOLA (6,13-20)

Fratelli, quando Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso, dicendo: Ti benedirò e ti moltiplicherò molto. Così, avendo perseverato, Abramo conseguì la promessa. Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia. Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento perché grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell’afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa infatti noi abbiamo come un’àncora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell’interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek.

VANGELO (Mc. 9,17-31)

In quel tempo, un uomo si accostò a Gesù, si prostrò davanti a lui e disse: “Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti”. Egli allora in risposta, disse loro: “O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me”. E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. Gesù interrogò il padre: “Da quanto tempo gli accade questo?”. Ed egli rispose: “Dall’infanzia; anzi, spesso lo ha buttato nell’acqua e nel fuoco per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: “Credo, aiutami nella mia incredulità”. Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: “Spirito muto e sordo, io te l’ordino, esci da lui e non vi rientrare più”. E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: “È morto”. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi. Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?”. Ed egli disse loro: “Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera”. Partiti di là, attraversarono la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu tòn fostìra tòn fainòn tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes imnìsomen.

OPISTHAMVONOS

Sei tu, o Cristo Dio nostro, che sostieni i caduti e sollevi i depressi, tu che senza distaccarti dal seno paterno hai preso carne dalla Santa Vergine Maria, sei venuto in questo mondo per rialzare la nostra natura che cacciata dal Paradiso cadde nelle mani degli uccisori delle anime, e spogliata della sua incorruttibilità venne da essi mortalmente ferita. Tu ne hai preso cura, o Signore, e l’hai riportata alla sua patria antica: ebbene guarisci ora le nostre invisibili ferite e raffrena le nostre basse passioni con il Sangue tuo prezioso sparso per noi e col Santo Crisma su di noi versato; ma liberaci anche dagli assalti che continuamente ci vengono dagli invisibili nemici maligni che si studiano di scuotere la fede e la speranza che noi abbiamo in te, e che soprattutto vogliono spogliarci della tua grazia. Non ci privare del tuo misericordioso e salutare rifugio, affinché noi in esso guariti e purificati da qualsiasi macchia possiamo meritare di far parte dei primogeniti iscritti alla Chiesa del cielo poiché sei tu, o Signore, il medico delle malattie visibili e invisibili. Ora tu stesso combatti col piissimo Sovrano poiché sei Dio e Salvatore nostro e noi rendiamo gloria a te, Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
La struttura della narrazione mostra che non è l'episodio in sé che interessa l'evangelista, non è il miracolo, ma il dialogo - fra Gesù e il padre, fra Gesù e i discepoli - che percorre tutto il racconto. Sono le tre affermazioni di Gesù che interessano, e tutte e tre riguardano la fede. Ma il tema della fede è, a sua volta, incluso in un interesse più ampio: la formazione dei discepoli. Tutto, infatti, termina con un dialogo, in privato, fra Gesù e i suoi discepoli.
"Osservò una grande folla": a differenza dei molti miracoli riportati nella prima parte di Marco che avvengono in privato, i due miracoli della seconda parte sono operati davanti alle folle. Essi sono intesi come proclamazioni pubbliche del potere messianico di Gesù.
"Non hanno potuto": il termine greco potrebbe anche significare "non furono abbastanza forti". La fede è l'unica strada per vincere satana, scacciando il demonio Gesù mostrerà di essere il "più forte" che vince il demonio.
"Generazione incredula": questa esclamazione di Gesù appare fuori luogo in questo contesto, perché non è applicabile né alle folle, né ai discepoli, né al padre del ragazzo. Aggiunta originariamente allo scopo di porre in evidenza la trascendenza di Gesù in questa scena, essa mostra che senza la fede l'uomo è condannato al destino di questa generazione incredula.
"E glielo condussero": poiché suo padre l'aveva già portato a Gesù, probabilmente con questo versetto iniziava originariamente un'altra narrazione indipendente.
"Da quanto tempo è cominciato tutto ciò?": il dialogo di Gesù con il padre del ragazzo è suggerito più che da un desiderio d'informazione, da un desiderio di dar risalto all'estrema sofferenza dell'implorante.
"Come un cadavere": Marco interpreta l'esorcismo del ragazzo come un simbolo della risurrezione da morte. Si noti la terminologia di contrasto: "come un cadavere... è morto... lo sollevò ed egli si raddrizzò".
"Questa specie... si scaccia solo con la preghiera": siccome il demonio era sordo e muto, i discepoli non potevano ricorrere al solito sistema del dialogo al fine di cacciarlo. È richiesta una comunione più profonda con Dio.
A motivo del suo contenuto e del suo contesto esso ha un significato sia cristologico che catechetico: è un segno del trionfo di Gesù su Beelzebul e un invito alla fede in Gesù, il solo che può liberare l'uomo dal potere demoniaco.

6 marzo 2010

07 MARZO 2010
III Domenica di Quaresima – Dell’Adorazione della Croce

Si fa precedere la Divina Liturgia di S. Basilio il Grande dall’Adorazione della preziosa e vivificante Croce, portata processionalmente dal celebrante, affinché prendiamo lo stimolo a proseguire nelle austerità quaresimali.

PRIMA ANTIFONA

Esimiòthi ef’imàs to fos tu prosòpu su, Kìrie; èdhokas evfrosìnin is tin kardhìan mu.

SECONDA ANTIFONA

Idhòsan pànta ta pèrata tis ghis to sotìrion tu Theù imòn.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Ipsùte Kìrion ton Theòn imòn ke proskinìte to ipopodhìo ton podhòn aftù, oti àghios estì.

Sòson, Kìrie, ton laòn su ke evlòghison tin klironomìan su; nìkas tis ierèvsi katà varvàron dhorùmenos, ke to son filàtton dhià tu Stavrù su polìtevma.

TROPARI

Della Domenica: Katèlisas to Stavrò su ton thànaton; inèoxas to listì ton Paràdhison; ton Mirofòron ton thrìnon metèvales, ke ti sis Apostòlis kirìttin epètaxas: òti anèstis, Christè o Theòs, parèchon to kòsmo to mèga èleos.

Della festa: Sòson, Kìrie…

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa, ton dhinòn evcharistìria, anagràfo si i pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon eleftèroson, ìna kràzo si: Chère, Nimfi anìmfevte.

TRISAGHION

Ton Stavròn su proskinùmen, Dhèspota, ke tin aghìan su Anàstasin dhoxàzomen.

EPISTOLA (Eb. 4,14-5,6)

Fratelli, poiché abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno. Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote, ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. Come in un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek.

VANGELO (Mc. 8,34-9,1)

Disse il Signore: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e dell’evangelo, la salverà. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi”. E diceva loro: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza”.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu tòn fostìra tòn fainòn tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes imnìsomen.

KINONIKON

Esimiòthi ef’imàs to fos tu prosòpu su, Kìrie. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Sòson, Kìrie…

OPISTHAMVONOS

Radunatici per tua grazia nel tuo sacro tempio noi peccatori e indegni tuoi servi, o Signore Dio nostro, senz’avere alcun bene da offrire a te, che non hai bisogno dei nostri beni, presentiamo la contrizione del cuore e l’umiliazione dello spirito per implorare dalla tua bontà il perdono dei nostri peccati. Accogli pertanto l’umile nostra preghiera come un giorno non disprezzasti il pubblicano che si umiliava davanti a te e che tu rimandasti purificato, a differenza del Fariseo giustificantesi da se stesso. Signore, tieni lontano dalla nostra lingua la superbia e la millanteria di costui, e dai nostri cuori la stima di noi stessi. Concedici come al pubblicano la compunzione e l’umiltà che a te ci avvince, tu che esalti gli umili e umilii i superbi, e nel regno dei cieli donaci di godere della beatitudine promessa ai poveri di spirito. Per la misericordia dell’Unigenito tuo Figlio col quale sei benedetto insieme con il santissimo, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
All'annuncio della passione segue un invito ai discepoli. Qui Marco riunisce tematicamente una serie di detti isolati di Gesù riguardanti il discepolato. Il discepolo deve "rinnegare" se stesso, deve cioè accettare a differenza di Pietro, il progetto messianico di Cristo, capovolgendo in tal modo l'immagine di Dio che si è costruito e convertendo radicalmente le speranze che ha coltivato. Il discepolo deve progettare l'esistenza in termini di donazione, non di possesso. Gesù non comanda la rinuncia alla vita (a questa vita per averne un'altra), ma esige che si cambi il progetto di questa vita: non rinuncia alla vita, ma la progettazione di essa nella linea dell'amore. Nessuna opposizione fra anima e corpo, spirito e materia: l'opposizione è fra il progetto dell'uomo e il progetto di Dio, fra due modi possibili di condurre l'esistenza. Non è in gioco una vita al posto di un'altra, e la scelta non è semplicemente fra la vita presente e quella futura. È in gioco tutta l'esistenza, e la scelta è fra una vita "piena" e una vita "vuota". Ci si può giocare l'esistenza puntando sul possesso, nella logica dell'avere sempre più; oppure ci si può giocare l'esistenza puntando sulla solidarietà, secondo la logica del discepolo. "Che giova all'uomo... se poi perde la propria anima?": queste parole di Gesù significano che esiste una fase escatologica dell'esistenza umana e che nessun sacrificio è troppo grande ai fini di raggiungerla. "Chi si vergognerà di me davanti a questa generazione": Gesù richiede una fedeltà che stacca i suoi discepoli da "questa generazione" ed è la condizione della salvezza. "Ci sono alcuni dei presenti che non morranno": è una predizione dell'instaurazione certa e imminente del dominio di Dio sulla terra.