17 dicembre 2012

Ieri eravamo presenti alla recita dell'Angelus
del Sommo Pontefice
in Piazza San Pietro


Di ritorno dalla visita pastorale alla Parrocchia romana di San Patrizio a Colle Prenestino, alle ore 12 il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
In questa III domenica di Avvento, domenica "Gaudete", sono presenti - tra gli altri - i bambini del Centro Oratori Romani per la benedizione dei "Bambinelli", le statuine di Gesù Bambino che i ragazzi metteranno nei presepi delle famiglie, delle scuole e delle parrocchie.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di questa Domenica di Avvento presenta nuovamente la figura di Giovanni Battista, e lo ritrae mentre parla alla gente che si reca da lui al fiume Giordano per farsi battezzare. Poiché Giovanni, con parole sferzanti, esorta tutti a prepararsi alla venuta del Messia, alcuni gli domandano: «Che cosa dobbiamo fare?» (Lc 3,10.12.14). Questi dialoghi sono molto interessanti e si rivelano di grande attualità.
La prima risposta è rivolta alla folla in generale. Il Battista dice: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (v. 11). Qui possiamo vedere un criterio di giustizia, animato dalla carità. La giustizia chiede di superare lo squilibrio tra chi ha il superfluo e chi manca del necessario; la carità spinge ad essere attento all’altro e ad andare incontro al suo bisogno, invece di trovare giustificazioni per difendere i propri interessi. Giustizia e carità non si oppongono, ma sono entrambe necessarie e si completano a vicenda. «L’amore sarà sempre necessario, anche nella società più giusta», perché «sempre ci saranno situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo« (Enc. Deus caritas est, 28).
E poi vediamo la seconda risposta, che è diretta ad alcuni «pubblicani», cioè esattori delle tasse per conto dei Romani. Già per questo i pubblicani erano disprezzati, e anche perché spesso approfittavano della loro posizione per rubare. Ad essi il Battista non dice di cambiare mestiere, ma di non esigere nulla di più di quanto è stato fissato (cfr v. 13). Il profeta, a nome di Dio, non chiede gesti eccezionali, ma anzitutto il compimento onesto del proprio dovere. Il primo passo verso la vita eterna è sempre l’osservanza dei comandamenti; in questo caso il settimo: «Non rubare» (cfr Es 20,15).
La terza risposta riguarda i soldati, un’altra categoria dotata di un certo potere, e quindi tentata di abusarne. Ai soldati Giovanni dice: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (v. 14). Anche qui, la conversione comincia dall’onestà e dal rispetto degli altri: un’indicazione che vale per tutti, specialmente per chi ha maggiori responsabilità.
Considerando nell’insieme questi dialoghi, colpisce la grande concretezza delle parole di Giovanni: dal momento che Dio ci giudicherà secondo le nostre opere, è lì, nei comportamenti, che bisogna dimostrare di seguire la sua volontà. E proprio per questo le indicazioni del Battista sono sempre attuali: anche nel nostro mondo così complesso, le cose andrebbero molto meglio se ciascuno osservasse queste regole di condotta. Preghiamo allora il Signore, per intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a prepararci al Natale portando buoni frutti di conversione (cfr Lc 3,8).

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle,
dal 28 dicembre al 2 gennaio prossimi, si terrà a Roma l’Incontro europeo dei giovani promosso dalla comunità di Taizé. Ringrazio le famiglie che, secondo la tradizione romana di accoglienza, si sono rese disponibili ad ospitare questi giovani. Poiché, grazie a Dio, le richieste sono superiori alle attese, rinnovo l’appello già rivolto nelle parrocchie, affinché altre famiglie, con grande semplicità, possano fare questa bella esperienza di amicizia cristiana.
Oggi rivolgo un saluto speciale ai bambini di Roma! Siete venuti per la tradizionale benedizione dei Bambinelli. Carissimi, mentre benedico le statuine di Gesù che metterete nei vostri presepi, benedico di cuore ciascuno di voi e le vostre famiglie, come pure gli educatori e il Centro Oratori Romani.
Saluto infine i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Palazzo Adriano, Porto San Giorgio, Grottammare, San Lorenzello, Atella, Bucchianico e Valmontone. Saluto il gruppo di studenti dell’Istituto De Merode di Roma con alcuni compagni australiani di Adelaide; come pure i rappresentanti dell’agenzia di informazione religiosa Zenit. Auguro a tutti una buona domenica e un buon cammino spirituale verso Betlemme! Buona domenica. Auguri!





1 dicembre 2012

02 DICEMBRE 2012 – XIV Domenica di S. Luca – S. Abacuc profeta



TROPARI

Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.
Quando discendesti nella morte, o vita immortale, allora mettesti a morte l’ade con la folgore della tua divinità; e quando risuscitasti i morti dalle regioni sotterranee, tutte le schiere delle regioni celesti gridavano: O Cristo datore di vita, Dio nostro, gloria a te.

En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.
Nel parto, hai conservato la verginità, con la tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei passata alla vita, tu che sei Madre della vita e che con la tua intercessione riscatti dalla morte le anime nostre.

I Parthènos sìmeron ton proeònion Lògon en spileò èrchete apotekìn aporrìtos; Chòreve i ikumèni, akutisthìsa dhòxason metà Anghèlon ke ton Pimènon vulithènda epofthìne Pedhìon nèon, ton proèonon Thèon.
Oggi la Vergine viene nella grotta per partorire ineffabilmente il Verbo che è prima dei secoli. Danza, terra tutta, che sei stata resa capace di udire questo; glorifica con gli angeli e i pastori il Dio che è prima dei secoli, che ha voluto mostrarsi come bimbo appena nato.

EPISTOLA

Mia forza e mio vanto è il Signore, egli è divenuto la mia salvezza.
Il Signore mi ha provato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte.

Lettura dalla Lettera di S. Paolo Apostolo agli Efesini (6,10-17)

Fratelli, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati dal maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.

Ti ascolti il Signore nel giorno della prova, ti protegga il nome del Dio di Giacobbe.

O Signore, salva il tuo re, ed ascoltaci nel giorno in cui t’invocheremo.

VANGELO (Lc. 18,35-43)

In quel tempo, mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: “Passa Gesù il Nazareno!”. Allora incominciò a gridare: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: “Che vuoi che io faccia per te?”. Egli rispose: “Signore, che io riabbia la vista”. E Gesù gli disse: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato”. Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin  fàtnin chorìon  en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.
Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere. Vedo un mistero strano e portentoso: cielo, la grotta, trono di cherubini, la Vergine, e la greppia, spazio in cui è posto a giacere colui che nulla può contenere, il Cristo Dio, che noi celebriamo e magnifichiamo.
 
Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.
Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Cantate al Signore da tutta la terra, e con letizia celebratelo, o popoli, perché si è glorificato.

12a SETTIMANA DI SAN LUCA

3 – L – S. Sofonia profeta
2Tes. 2,20-26     Lc. 20,27-44

4 – M – S. Barbara megalomartire – S. Giovanni Damasceno
Gal. 3,23-4,5     Mc. 5,24-34

5 – M – S. Saba il santificato
Gal. 5,22-6,2     Mt. 11,27-30

6 – G – S. NICOLA IL TAUMATURGO, ARCIVESCOVO DI MIRA DI LICIA E PROTETTORE DI PALAZZO ADRIANO
Eb. 13,17-21     Lc. 6,17-23

7 – V – S. Ambrogio, vescovo di Milano
 2Tes. 2,13-3,5     Lc. 6,17-23

8 – S – S. Patapio
Ef. 1,16-23     Lc. 13,19-29

28 novembre 2012

Il "Credo" contro i falsi dei


È l'obiettivo prioritario dell'anno della fede voluto da Benedetto XVI. Riavvicinare gli uomini all'unico vero Dio. E deporre dai loro troni le false divinità che dominano il mondo



Una battaglia navale nel buio della tempesta. Questo era lo spettacolo che la Chiesa dava di sé dopo il primo concilio ecumenico della storia, quello di Nicea nel secolo IV.
Benedetto XVI ama ricordarlo ai profeti di sventura di oggi. Quella battaglia di tutti contro tutti – dice – alla fine produsse il "Credo", lo stesso "Credo" che si proclama oggi in tutte le messe domenicali. Non fu un disastro, ma una vittoria della fede.
La differenza tra allora e oggi è proprio qui. La crisi profonda della Chiesa odierna è una crisi di fede. Papa Joseph Ratzinger ne è così convinto che lo scorso 11 ottobre ha voluto inaugurare uno speciale anno della fede, e ogni mercoledì, giorno delle sue udienze pubbliche settimanali, s'è messo a spiegare il "Credo" articolo per articolo.
Da teologo, il papa si fa catechista. Il suo sogno è che tanti maestri di strada, in tutto il mondo, prendano esempio da lui e tornino a insegnare agli uomini "le verità centrali della fede su Dio, sull’uomo, sulla Chiesa, su tutta la realtà sociale e cosmica", insomma, l'abc della fede cristiana.
Andando ancor più alla sostanza, Benedetto XVI ha indicato più volte la "priorità" del suo pontificato nel ricondurre gli uomini a Dio, e "non a un dio qualsiasi", ma a quel Dio che ha rivelato il suo volto in Gesù crocifisso e risorto.
Perché il declino del "Credo in unum Deum" nei paesi di antica cristianità è coinciso proprio con un'ascesa nel firmamento di altri dei. Anche questa è una vicenda ricorrente nella storia. Anche nella Chiesa dei primi secoli, quelli delle persecuzioni e dei martiri, il dramma più acuto era dato dai "lapsi", da chi cadeva nella tentazione di bruciare incenso al "divus imperator" per aver salva la vita. Erano in numero ingente e i puristi, settari, li volevano espellere come apostati. La Chiesa li tenne tra i suoi figli ed elaborò nuove forme di confessione, penitenza, perdono. Quel sacramento che oggi, di nuovo, è il più in pericolo e insieme è così necessario.
I nuovi dei, Benedetto XVI li chiama per nome. L'ha fatto, ad esempio, nella memorabile "lectio divina" che tenne ai più di duecento vescovi del penultimo sinodo.
I nuovi dei sono i "capitali anonimi che schiavizzano l'uomo".
Sono la violenza terroristica "apparentemente fatta in nome di Dio" ma in realtà "in nome di false divinità che devono essere smascherate".
Sono la droga che "come una bestia vorace stende le sue mani su tutta la terra e distrugge".
Sono "il modo di vivere propagandato dall'opinione pubblica: oggi si fa così, il matrimonio non conta più, la castità non è più una virtù, e così via".
A giudizio di Benedetto XVI – un giudizio che ha ribadito anche di recente, nella prefazione ai due volumi della sua "opera omnia" con gli scritti conciliari – stanno proprio qui la forza e la debolezza del Vaticano II, nel cui cinquantesimo anniversario egli ha indetto l'anno della fede.
Il concilio ha voluto ravvivare l'annuncio della fede cristiana al mondo d'oggi, in forme "aggiornate". E in parte vi è riuscito. Ma non ha saputo andare alla sostanza di "ciò che è essenziale e costitutivo dell'età moderna".
È vero, ad esempio, che per la Chiesa c'è voluta la frustata dell'Illuminismo, per farle riscoprire quella che era l'idea della cristianità antica in materia di libertà di religione. Su questo papa Ratzinger concorda con il cardinale Carlo Maria Martini: qui la Chiesa era davvero "indietro di duecento anni".
Ma il papa concorda ancor più con il cardinale Camillo Ruini, quando questi obietta che comunque "una distanza ci deve essere della Chiesa rispetto a qualsiasi tempo, compreso il nostro ma anche quello in cui visse Gesù", una distanza "che ci chiama a convertire non solo le persone, ma anche la cultura e la storia".
I Cortili dei Gentili organizzati dal cardinale Gianfranco Ravasi questa distanza la mettono in mostra, dando voce e cattedra alla cultura del tempo, lontana da Dio.
Ma a papa Ratzinger sta più a cuore che i falsi dei vengano detronizzati, affinché gli uomini ritrovino l'unico vero Dio.

Dall'Osservatore Romano: di Sandro Magister

Diario Vaticano / In curia, tutti vestiti come si deve


Una circolare interna vieta al clero l'uso degli abiti borghesi e impone il ritorno alla talare. Anche per i vescovi in visita a Roma. Ecco il testo integrale della lettera, firmata da Bertone su incarico del papa





CITTÀ DEL VATICANO, 19 novembre 2012 – Veste talare obbligatoria per cardinali e vescovi negli orari d’ufficio. Talare o clergyman per sacerdoti e monsignori. Abito specifico per i religiosi, sempre e in qualsiasi stagione. E nelle cerimonie alla presenza del papa o negli incontri ufficiali in curia romana: “abito piano”, cioè talare, per i sacerdoti, talare filettata per i monsignori e talare con mantellina filettata (chiamata “pellegrina”) per i vescovi e i cardinali.
È questo l'ordine di servizio ribadito di recente in Vaticano sulla scia delle disposizioni impartite da Giovanni Paolo II in una lettera dell’8 settembre 1982 all’allora cardinale vicario di Roma Ugo Poletti:
"La cura dell'amata diocesi di Roma..."
In quella lettera papa Karol Wojtyla si rivolgeva al suo vicario, "che più da vicino condivide le mie cure e sollecitudini nel governo della diocesi, [...] perché, d’intesa con le sacre congregazioni per il clero, per i religiosi e gli istituti secolari e per l’educazione cattolica, voglia studiare opportune iniziative destinate a favorire l’uso dell’abito ecclesiastico e religioso, emanando a tale riguardo le necessarie disposizioni e curandone l’applicazione".
La nuova circolare, che porta la data del 15 ottobre 2012 ed è stata diramata durante l’ultimo sinodo dei vescovi, è firmata dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, che l’ha scritta, si legge, "per venerato incarico", cioè su indicazione di Benedetto XVI.
Essa suona come richiamo al "dovere di esemplarità che incombe soprattutto su quanti prestano servizio al successore di Pietro".
Ma non solo. La lettera vuole essere un "esplicito incoraggiamento" per tutti coloro – "anche per gli episcopati", si sottolinea – che vengono in visita a Roma.
Nel testo non si fa esplicito riferimento alle religiose che lavorano in Vaticano, ma per analogia con i religiosi la regola dovrebbe valere anche per loro.
L’indicazione quindi è molto chiara. Chi ha modo di frequentare gli uffici vaticani potrà vedere in che misura verrà rispettata.
Ecco qui di seguito la trascrizione integrale della lettera, scritta su carta intestata della sezione per gli affari generali della segreteria di Stato, con protocollo N. 193.930/P, e indirizzata ai capi dei dicasteri, tribunali e uffici della Santa Sede e del vicariato di Roma.



13 agosto 2012


15 AGOSTO 2012

DORMIZIONE DELLA NOSTRA SANTISSIMA SOVRANA LA MADRE DI DIO E SEMPRE VERGINE MARIA





 “Con quali parole spiegherò il tuo mistero?”, si chiese S. Teodoro Studita parlando della Dormizione della Madre di Dio, “La mia mente è in difficoltà (…): è un mistero insolito e sublime, che trascende tutte le nostre idee. Non trovo nient’altro di simile, cui possa paragonarsi, onde offrirne subito un saggio dalle cose che capitano, ma solo dalle cose che sono sopra di noi. (…) Fu precisamente nel tuo ineffabile parto che mutasti l’ordine della natura: quando mai, infatti, si è udito che una vergine abbia concepito senza seme? Colei che diviene madre partorendo rimane vergine incorrotta, perché Dio era quello che veniva generato. Così nella tua dormizione vitale, differenziandoti da tutti gli altri, tu sola a buon diritto rivesti la gloria della persona completa di anima e di corpo”.
Queste parole possono essere considerate un piccolo saggio dell’importanza e della portata teologica che questa festa riveste nelle Chiese di tradizione bizantina.
La festa dell’Assunta sembra, infatti, essere di origine orientale; resta, tuttavia, incerta e discussa tra gli studiosi sia la località in cui si è sviluppata sia il tempo. Sono state, quindi, formulate delle ipotesi. La più accreditata si fonda sulla notizia riportata da un Lezionario georgiano del sec. VIII, - che, tuttavia, sembra rispecchiare usanze liturgiche di Gerusalemme risalenti ad almeno un secolo prima -, che il 15 agosto si celebrava una festa mariana nella chiesa fatta costruire dall’imperatrice Eudocia nel Getsemani, poiché in questa chiesa veniva indicato il sepolcro della Vergine.
La letteratura apocrifa sul trapasso della Madre di Dio certamente avrà contribuito alla diffusione e all’affermazione di questa festa gerosolimitana. Comunque si ha notizia che fu l’imperatore Maurizio (582-602) ad ordinare la celebrazione di questa ricorrenza in tutto l’impero.
A partire da quest’epoca, infatti, troviamo che i maggiori teologi, poeti, oratori sacri celebrarono le meraviglie di questa memoria tanto da farci intendere che la Dormizione della Madre di Dio era ben presto divenuta la festa mariana più importante della Grande Chiesa bizantina.
Fin dal tempo di S. Teodoro Studita (759-826) fu fatta precedere da un digiuno di 15 giorni, caratteristica tipica delle grandi solennità. Durante questa breve quaresima, non si sa bene da quando, ogni sera viene cantata un’Ufficiatura detta “Paraklisis”, tra le più diffuse e popolari. Il termine “Paraklisis” significa tanto intercessione che consolazione: con questa supplica, infatti, si impetra l’intercessione della Vergine presso il Signore per la guarigione delle anime e dei corpi da ogni genere di mali e si ha la consolazione di essere esauditi per i meriti della Madre celeste.
“Ti sei addormentata, sì”, esclama nello stesso panegirico lo Studita, “ma non per morire; assunta, ma non lasci di proteggere il genere umano”.
Importante è stato, infine, un decreto dell’imperatore Andronico II (1282-1328) con cui l’intero mese di agosto è stato consacrato al mistero della Dormizione e Assunzione della beata Vergine.
Fino a questo momento la terminologia per designare la festa è stata varia, ma è opportuno porre in debito risalto che il termine proprio bizantino per designare la celebrazione è “Koìmesis” (Dormizione). Le motivazioni di questa preferenza ci vengono date da San Giovanni Damasceno: “Come chiameremo questo mistero che ti riguarda?”, dice rivolgendosi direttamente alla Vergine nella prima omelia dedicata a tale solennità, “La chiameremo morte? Sebbene la tua sacratissima e beata anima, secondo le leggi della natura, si stacchi dal perfetto e puro tuo corpo, e il corpo sia affidato secondo la legge comune alla tomba, ciononostante non soggiorna nella morte né è dissolto dalla corruzione. A Colei la cui verginità rimase illibata nel parto, fu custodito incorruttibile il corpo anche nel suo trapasso e fu trasferito in una dimora migliore e più divina non soggetta ai colpi della morte, ma che si perpetua per gli infiniti secoli dei secoli.
Come questo nostro sole che tutto illumina e sempre splende, nascosto per un breve momento dal corpo della luna, sembra sparire, avvolgersi nella caligine e mutare lo splendore in tenebra e tuttavia esso non viene privato della sua propria luce, perché ha in se stesso una fonte eterna rigurgitante di luce, o meglio, lui stesso è fonte di luce inestinguibile, secondo quanto ha stabilito Dio che l’ha creato, così anche tu: fonte perenne della vera Luce, scrigno inesauribile di Colui che ha la vita inesauribile di luce infinita, di vita immortale e di vera felicità, fiumi di grazia, sorgenti di medicamenti, una benedizione perpetua.
Tu sei fiorita come il pomo in mezzo agli alberi del pomario e il tuo frutto è dolce al palato dei fedeli. Pertanto, io non chiamerei morte la tua santa dipartita, ma dormizione o passaggio: meglio, un’entrata nella dimora di Dio”.
Non si tratta, quindi, di un termine tendente a porre in risalto un aspetto anziché un altro della festa, ma di concetto comprensivo tanto della morte che dell’Assunzione.
Compendio di questa rappresentazione sembra essere una breve composizione poetica (exapostilarion, canto di congedo) cantata alla fine della “Paraklisis”, mentre i fedeli si recano a baciare l’icone.
“Apostoli, convenuti da ogni parte della terra nel luogo del Getsemani, prendetevi cura del mio corpo. E tu, mio figlio e mio Dio, prendi il mio spirito”.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kirìo pàsa i ghi, psàlate dhi to onòmati aftù, dhòte dhòxan enèsi aftù.

SECONDA ANTIFONA

Agapà Kìrios tas pìlas Siòn, ipèr pànda ta skinòmata Iakòv.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Etìmi i kardhìa mu, o Theòs, etìmi i kardìa mu; àsome ke psalò en ti dhòxi mu.

En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

TROPARI

Della festa:  En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon, ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen: os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (Fil. 2,5-11)

Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

VANGELO (Lc. 10,38-42.11,27-28)

In quel tempo, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”.

MEGALINARIO

E gheneè pàse makarizomèn se tin mònin Theotòkon. Nenìkinde tis fìseos i òri en si, Parthène àchrande: parthenèvi gar tòkos ke zoìn promnistèvete thànatos. I metà tòkon Parthènos, ke metà thànaton zòsa, sòzis aì, Theotòke, tin klironomìan su.

KINONIKON

Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Apòstoli ek peràton, sinathristhèndes enthàdhe, Ghetsìmanì to chorìo, kidhevsatè mu to sòma; ke si Iiè ke Theè mu, paralavè mu to pnèvma.

OPISTHAMVONOS

Christè o Theòs imòn, o dhià thanàtu tin afthoròn su Mitèra ek zoìs pros zoìn tin akìraton metastìsas, ke tafìsan aftìn tis en tàfo dhiafthoràs ipèr lògon ipsilotèran ergasàmenos, ke pros kidhìan aftìs tus sus Apostòlus pandachòthen sinagagòn, aftòs, tes presvìes aftìs, pàndas imàs tus tin aftìs eortàzondas metàstasin lìtrose pàsis nekràs ennìas ke pràxeos, ke pàsis psichikìs dhiafthoràs elefthèroson, tu tis apognòseos thanàtu dhiàsoson, ke tu tis apistìas ke kakopistìas mnìmatos dhiafìlaxon; ke tis pistìs vasilèfsi pàsan epivulìn ke tirannìda katakìmison, ke pàsan varvàron thrasìtita nèkroson, ke pàndon ton epanistamènon to so kirìgmati ta friàgmata tapìnoson; ke pàndas tis eonìu zoìs kataxìoson, òti pàndas anthròpus thèlis sothìne, ke prèpi si dhòxa, sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke to zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O Anastàs ek nekròn Christòs o alithinòs Theòs imòn, tes presvìes tis panachràndu ke panamòmu aftù Mitròs is tin Kìmisin ke tin is uranùs metàstasin eortàzomen..................

26 luglio 2012



Questa notte alle 2,30 la Nostra Comunità Parrocchiale parte per il pellegrinaggio a Lourdes, assicuriamo a tutta la Comunità di Palazzo Adriano, amici e conoscenti, preghiere.

                                                                                                    Papàs Sepa



Ricordo che la celebrazione domenica 29 Luglio sarà alle 18,30



Il 26 Luglio la Chiesa Italo-Biazantina-Albanese fa memoria del Megalomartire Panteleimon

San Panteleimon nacque a Nicomedia da padre pagano (di nome Eustorgus) e madre cristiana (di nome Eubola). Venne educato alla fede cristiana e poi battezzato da sant'Ermolao (commemorato il 26 luglio) ed avendo appreso la professione medica, la esercitò con molta carità, guarendo da ogni malattia più per grazia divina che per la sua professionalità.
La sua compassione verso gli ammalati, i sofferenti, gli sfortunati e i bisognosi, fece si che fosse chiamato Panteleimon ("tutto misericordioso") invece di Pantaleo ("in tutte le cose un leone") che era il suo nome. Ha trattato tutti coloro che si rivolgevano a lui senza distinzione di fede e senza chiedere spese, guarendoli nel nome del Signore Gesù Cristo. Ha visitato i prigionieri tenuti in carcere, che erano generalmente cristiani, guarendo le loro ferite e in breve tempo la sua buona nomea di medico caritatevole si diffuse in tutta la città di Nicomedia facendo si che la gente abbandonasse gli altri medici per rivolgersi a lui.
Nel 305, per invidia, un medico lo denunciò alle autorità romane che lo arrestarono e come era prassi nei processi contro i cristiani, al santo fu chiesto di offrire l'incenso agli dei, ma egli si rifiutò, accettando il martirio, come già aveva fatto il suo maestro Ermolao, che avvenne dopo numerose torture.





Il 25 Luglio la Chiesa Italo-Bizantina-Albanese fa memoria della Santa Martire Parasceve
Si fa memoria anche dei Santi Ermolao, Ermippo ed Ermocrate


La santa martire Parasceve il cui nome dal greco significa «preparazione» era figlia di Agatone e Politia ed è nata in un villaggio nei pressi di Roma. Fu chiamata Parasceve perché nacque di Venerdì (in greco "paraskevì") e ricevendo dai suoi genitori una educazione cristiana si dedicò sin dalla giovinezza alla lettura delle Sacre Scritture e alla meditazione della Parola divina, portando molti alla fede in Cristo.
Venne arrestata e invitata ad adorare gli idoli pagani, ma lei rispose con le parole del profeta Geremia (Ger 10:11): «Gli dèi che non hanno fatto il cielo e la terra scompariranno dalla terra e sotto il cielo». Fu martirizzata con la decapitazione dopo numerose torture intorno all'anno 140.

I santi Ermolao, Ermippo ed Ermocrate erano sacerdoti della Chiesa di Nicomedia; essi vivevano in clandestinità dopo che l'imperatore Massimiano aveva fatto bruciare 20.000 martiri nella stessa Nicomedia (vedi 28 dicembre). Sant'Ermolao aveva fatto convertire san Panteleimon alla fede cristiana e quando san Panteleimon fu arrestato perché riconosciuto cristiano, illuminato da Dio che il tempo del martirio del suo maestro era oramai alle porte, rivelò a Massimiano che era stato il sacerdote cristiano Ermolao a convertirlo. Nell'anno 305, i tre santi Ermolaos, Ermippo ed Ermocrate, vennero arrestati e quando confessarono Cristo come unico vero Dio, furono torturati e decapitati.




 

24 luglio 2012




24 Luglio la Chiesa Italo-Bizantina-Albanese fa memoria della
Santa Megalomartire Cristina

Cristina fa parte di quel gruppo di sante martiri, la cui morte o i supplizi subiti si imputano ai padri, talmente snaturati e privi di amore, da infliggere a queste loro figlie i più crudeli tormenti e dando loro la morte, essi che l’avevano generate alla vita.
Sono un po’ interdetto davanti a questi casi, come ad esempio per s. Barbara, perché credo che sia frutto di tradizioni agiografiche di un tempo lontano, in cui si intendeva impressionare il devoto con racconti forti.
Da scavi archeologici eseguiti fra il 1880 e il 1881 nella grotta situata sotto la Basilica di Santa Cristina a Bolsena, si è accertato che il culto per la martire era già esistente nel IV secolo; dal fondo della grotta-oratorio si apre l’ingresso alle catacombe, che contengono una sua statua giacente in terracotta dipinta e il sarcofago dove furono ritrovate le reliquie del corpo della santa.
Al tempo dell’imperatore Diocleziano (243-312) la fanciulla di nome Cristina, figlia del ‘magister militum’ di Bolsena, Urbano, era stata rinchiusa dal padre insieme con altre dodici fanciulle, in una torre affinché venerasse i simulacri degli dei come se fosse una vestale.
Ma l’undicenne Cristina in cuor suo aveva già conosciuto ed aderito alla fede cristiana, si rifiutò di venerare le statue e dopo una visione di angeli le spezzò.
Invano supplicata di tornare alla fede tradizionale, fu arrestata e flagellata dal padre magistrato, che poi la deferì al suo tribunale che la condannò ad una serie di supplizi, tra cui quello della ruota sotto la quale ardevano le fiamme.
Dopo di ciò fu ricondotta in carcere piena di lividi e piaghe; qui la giovane Cristina venne consolata e guarita miracolosamente da tre angeli scesi dal cielo.
Risultato vano anche questo tentativo, lo snaturato ed ostinato padre la condannò all’annegamento, facendola gettare nel lago di Bolsena con una mola legata al collo.
Prodigiosamente la grossa pietra si mise a galleggiare invece di andare a fondo e riportò alla riva la fanciulla, la quale calpestando la pietra una volta giunta, lasciò (altro prodigio) impresse le impronte dei suoi piedi; questa pietra fu poi trasformata in mensa d’altare.
Di fronte a questo miracolo, il padre scosso e affranto morì, ma le pene di Cristina non finirono, perché il successore di Urbano, il magistrato Dione, infierì ancora di più.
La fece flagellare ma inutilmente, poi gettare in una caldaia bollente piena di pece, resina e olio, da cui Cristina uscì incolume, la fece tagliare i capelli e trascinare nuda per le strade della cittadina lagunare, infine trascinatala nel tempio di Apollo, gli intimò di adorare il dio, ma la fanciulla con uno sguardo fulminante fece cadere l’idolo riducendolo in polvere.
Anche Dione morì e fu sostituito dal magistrato Giuliano, che seguendo i suoi predecessori continuò l’ostinata opera d’intimidazione di Cristina, gettandola in una fornace da cui uscì ancora una volta illesa; questa fornace chiamata dal bolsenesi ‘Fornacella’, si trova a circa due km a sud della città; in un appezzamento di terreno situato fra la Cassia e il lago, nel Medioevo fu inglobata in un oratorio campestre.
Cristina fu indomabile nella sua fede, allora Giuliano la espose ai morsi dei serpenti, portati da un serparo marsicano, i quali invece di morderla, presero a leccarle il sudore, la tradizione meno realistica della leggenda, vuole che i serpenti si rivoltarono contro il serparo mordendolo, ma Cristina mossa a pietà, lo guarì.
Seguendo le ‘passio’ di martiri celebri come s. Agata, la leggendaria ‘Passio’ dice che Giuliano le fece tagliare le mammelle e mozzare la lingua, che la fanciulla scagliò contro il suo persecutore accecandolo. Infine gli arcieri, come a s. Sebastiano, la trafissero mortalmente con due frecce.
Questo il racconto leggendario della ‘Passio’ redatta non anteriore al IX secolo, il cui valore storico è quasi nullo, precedenti ‘passio’ greche sostenevano che Cristina, il cui nome latino significa “consacrata a Cristo”, fosse nata a Tiro in Fenicia, ma si tratta di un errore dovuto al fatto che la prima ‘passio’ fu redatta in Egitto e che per indicare la terra degli Etruschi chiamati Tirreni dai Greci, si usava l’abbreviazione ‘Tyr’ interpretata erroneamente come Tiro.
Le reliquie ebbero anche loro un destino avventuroso, furono ritrovate nel 1880 nel sarcofago dentro le catacombe poste sotto la basilica dei Santi Giorgio e Cristina, chiesa risalente all’XI secolo e consacrata da papa Gregorio VII nel 1077.
Le reliquie del corpo, anzi di parte di esso sono conservate in una teca, parte furono trafugate nel 1098 da due pellegrini diretti in Terrasanta, ma essi giunti a Sepino, cittadina molisana in provincia di Campobasso, non riuscirono più a lasciare la città con il loro prezioso carico, per cui le donarono agli abitanti.
Questo l’inizio del culto della santa molto vivo a Sepino, le reliquie costituite oggi solo da un braccio, sono conservate nella chiesa a lei dedicata; le altre reliquie furono traslate tra il 1154 e 1166 a Palermo, che proclamò la martire sua patrona celeste, festeggiandola il 24 luglio e il 7 maggio; la devozione durò almeno fino a quando non furono “scoperte” nel secolo XVII le reliquie di santa Rosalia, diventata poi patrona principale. A Sepino, s. Cristina viene ricordata dai fedeli ben quattro giorni durante l’anno
A Bolsena, s. Cristina viene festeggiata con una grande manifestazione religiosa, la vigilia della festa il 23 luglio sera, nella oscurata piazza antistante la basilica, viene portato in processione il simulacro della santa posto su una ‘macchina’ a forma di tempietto, contemporaneamente sulla destra del sagrato si apre il sipario di un palchetto illuminato, dove un quadro vivente rappresenta in silenzio una scena del martirio e ciò si ripete in ogni piazza e su altrettanti piccoli palchi dove giunge la processione; la manifestazione è chiamata “I Misteri di s. Cristina”.
La processione cui partecipa una folla di fedeli, si svolge per strade e piazze di Bolsena, finché arriva in cima al paese nella Chiesa del Santissimo Salvatore, lì la statua si ferma tutta la notte e la mattina del 24, giorno della festa liturgica di s. Cristina, si riprende la processione di ritorno con le stesse modalità e giungendo infine di nuovo nella Basilica a lei dedicata.
I “Misteri” sono una manifestazione religiosa che sin dal Medioevo, onora alcuni santi patroni in varie città d’Italia specie del Centro.
Bisogna infine qui ricordare che la Basilica di S. Cristina possiede l’altare che come già detto è formato dalla pietra del supplizio della martire e che proprio su quest’altare nel 1263 un sacerdote boemo, che nutriva dubbi sulla verità della presenza reale del Corpo e Sangue di Gesù nell’Eucaristia, mentre celebrava la Messa, vide delle gocce di sangue sgorgare dall’ostia consacrata, che si posarono sul corporale e sul pavimento, l’evento fu riferito al papa Urbano IV, che si trovava ad Orvieto, il quale istituì l’anno dopo la festa del Corpus Domini.
La ‘passione’ di santa Cristina ha costituito un soggetto privilegiato da parte degli artisti di ogni tempo, come Signorelli, Cranach, Veronese, Dalla Robbia, i quali non solo la rappresentarono in scene del suo martirio con i suoi simboli, la mola, i serpenti, le frecce, ma arricchirono con le loro opere di pittura, scultura e architettura, la basilica a lei dedicata, maggiormente dopo avvenuto il miracolo eucaristico.

23 luglio 2012




Il 23 Luglio la Chiesa Italo-Bizantina-Albanese fa memoria
del Profeta Ezechiele
 e
della Traslazione delle reliquie di San foca ieromartire

Il profeta Ezechiele, il cui nome significa "Dio è forte" era il figlio di Buzi un sacerdote di alto rango. Anche lui subì la deportazione a Babilonia da parte di Nabucodonosor e nel quinto anno di questa prigionia, tra il 594 - 593 a.C., fu chiamato dal Signore e iniziò a profetizzare al popolo rimproverando l'infedeltà verso Jahvè. Dopo aver profetizzato per circa 28 anni fu assassinato, si dice, dalla tribù di Gad, perché li rimproverava per la loro idolatria.
Ezechiele viene considerato il terzo dei profeti maggiori ed il suo libro di profezie, diviso in 48 capitoli è pieno di immagini mistiche, meravigliose visioni profetiche nonché di allegorie, tra le quali il magnifico Carro di Cherubini descritto nel primo capitolo (Ez 1,4-26), o la "porta che era chiusa" attraverso la quale il Signore è entrato da solo, che ha preannunciato l'incarnazione del Verbo dalla Vergine (Ez 44:1-2), o le "ossa inaridite", che tornano alla vita (Ez 37,1-14), che profetizzavano sia il ritorno dei prigionieri dall'esilio, sia la risurrezione generale nell'ultimo giudizio.

San Foca ieromartire:
Si ritiene che le reliquie di san Foca siano state traslate a Costantinopoli durante l'episcopato di san Giovanni Crisostomo (398-404) che in suo onore scrisse una omelia.




22 luglio 2012



Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia al balcone del Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo e recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti.


Le parole durante l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

La Parola di Dio di questa domenica ci ripropone un tema fondamentale e sempre affascinante della Bibbia: ci ricorda che Dio è il Pastore dell’umanità. Questo significa che Dio vuole per noi la vita, vuole guidarci a buoni pascoli, dove possiamo nutrirci e riposare; non vuole che ci perdiamo e che moriamo, ma che giungiamo alla meta del nostro cammino, che è proprio la pienezza della vita. E’ quello che desidera ogni padre e ogni madre per i propri figli: il bene, la felicità, la realizzazione. Nel Vangelo di oggi Gesù si presenta come Pastore delle pecore perdute della casa d’Israele. Il suo sguardo sulla gente è uno sguardo per così dire ‘pastorale’. Ad esempio, nel Vangelo di questa domenica, si dice che «sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34). Gesù incarna Dio Pastore col suo modo di predicare e con le sue opere, prendendosi cura dei malati e dei peccatori, di coloro che sono «perduti» (cfr Lc 19,10), per riportarli al sicuro, nella misericordia del Padre.
Tra le «pecore perdute» che Gesù ha portato in salvo c’è anche una donna di nome Maria, originaria del villaggio di Magdala, sul Lago di Galilea, e detta per questo Maddalena. Oggi ricorre la sua memoria liturgica nel calendario della Chiesa. Dice l’Evangelista Luca che da lei Gesù fece uscire sette demoni (cfr Lc 8,2), cioè la salvò da un totale asservimento al maligno. In che cosa consiste questa guarigione profonda che Dio opera mediante Gesù? Consiste in una pace vera, completa, frutto della riconciliazione della persona in se stessa e in tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri, con il mondo. In effetti, il maligno cerca sempre di rovinare l’opera di Dio, seminando divisione nel cuore umano, tra corpo e anima, tra l’uomo e Dio, nei rapporti interpersonali, sociali, internazionali, e anche tra l’uomo e il creato. Il maligno semina guerra; Dio crea pace. Anzi, come afferma san Paolo, Cristo «è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (Ef 2,14). Per compiere questa opera di riconciliazione radicale Gesù, il Pastore Buono, ha dovuto diventare Agnello, «l’Agnello di Dio … che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Solo così ha potuto realizzare la stupenda promessa del Salmo: «Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita, / abiterò ancora nella casa del Signore / per lunghi giorni» (22/23,6).
Cari amici, queste parole ci fanno vibrare il cuore, perché esprimono il nostro desiderio più profondo, dicono ciò per cui siamo fatti: la vita, la vita eterna! Sono le parole di chi, come Maria Maddalena, ha sperimentato Dio nella propria vita e conosce la sua pace. Parole più che mai vere sulla bocca della Vergine Maria, che già vive per sempre nei pascoli del Cielo, dove l’ha condotta l’Agnello Pastore. Maria, Madre di Cristo nostra pace, prega per noi!



21 luglio 2012


22 luglio 2012 - Domenica VIII di Matteo. – Santa Maria   Maddalena. - Tono VII – Eothinon VIII.

APOLITIKIA

Katèlisas to stavrò Katèlisas to stavrò su ton thànaton; inèoxas to listì ton Paràdhison; ton Mirofòron ton thrìnon metèvales; ke tis sis Apostòlis kirìttin epètaxas: òti anèstis, Christè o Theòs, parèchon ton kòsmo to mèga èleos.

Hai annientato con la tua croce la morte; hai dischiuso al buon ladrone il Paradiso; hai mutato in gioia il pianto delle Mirofore, e ai tuoi Apostoli hai comandato di annunziare che Tu, Cristo Dio, sei risorto, elargendo al mondo la grande misericordia.

Della Santa:

Christò to dhi’imas ek Parthènu techthèndi, semnì Magdhalinì, ikolùthis, Marìa, aftù tà dhikeòmata ke tus nòmus filàtusa: òthen sìmeron tin panaghìan su mnìmin eortàzondes anevfimùmen se pisti, ke pòtho gherèromen.

Seguivi il Cristo che per noi dalla Vergine è nato, o venerabile Maria Maddalena, osservando i suoi precetti e le sue leggi: per questo noi oggi, festeggiando la tua santissima memoria, con fede ti celebriamo e con amore ti onoriamo.

Della titolare della Parrocchia:

En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Nel parto, hai conservato la verginità, con la tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio. Sei passata alla vita, tu che sei Madre della vita e che con la tua intercessione riscatti dalla morte le anime nostre.

KONDAKION

Prostasìa ton Christianòn Prostasìa ton Christianòn akatèschinde, mesitìa pros ton Piitìn ametàthete, mi parìdhis amartolòn dheìseon fonàs, allà pròfthason, os agathì, is tin voìthian imòn ton pistòs kravgazòndon si: Tàchinon is presvìan ke spèfson is ikesìan, i prostatèvusa aì, Theotòke, ton timòndon Se.

O invincibile Protettrice dei Cristiani, inconcussa mediatrice presso il Creatore, non disprezzare le voci di supplica di noi peccatori, ma affrettati, pietosa, a venire in aiuto di noi che con fede a Te gridiamo: o Madre di Dio, non tardare ad intercedere per noi; orsù, muoviti a pregare per noi, Tu che ognora proteggi quanti ti venerano.

Epistola

Il Signore darà forza al suo popolo; il Signore benedirà il suo popolo con la pace. (Sal. 28,11)

Portate al Signore, figli di Dio; portate al Signore dei figli di arieti. (Sal. 28,1)

Lettura dalla prima lettera di Paolo ai Corinti  (1,10-17)

Fratelli, vi esorto, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti. Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”, “E io di Cristo!” Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio, perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome. Ho battezzato, è vero, anche la famiglia di Stefana, ma degli altri non so se abbia battezzato alcuno. Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo.

Alliluia (3 volte).

Buona cosa è lodare il Signore e inneggiare al tuo nome, o Altissimo. (Sal. 91,2)

Alliluia (3 volte).

Annunziare al mattino la tua misericordia, la tua verità nella notte. (Sal. 91,3)

Alliluia (3 volte).

Vangelo (Matteo 14,14-22)

In quel tempo Gesù, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”. Ma Gesù rispose: “Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare”. Gli risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci!” Ed egli disse: “Portatemeli qua”. E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull’altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.

Buona Domenica!!

19 luglio 2012




Nella memoria odierna di Santa Macrina desideriamo augurare alle nostre Suore Basiliane un lungo apostolato. Nel contempo desideriamo rievocare con gioia un articolo curato dall'indimenticabile Mons. E. Fortino pubblicato dall'Osservatore Romano il 25 Aprile 2009

Una congregazione Basiliana femminile in espansione


Scritto da Archimandrita Eleuterio F. Fortino

Quasi un secolo fa maturava nell'ambito della storica abbazia dei monaci basiliani di S. Maria
di Grottaferrata, nei pressi di Roma, una vocazione religiosa femminile, che orientata dai Padri
di S. Nilo di Rossano, prendeva forma come "Congregazione delle Suore Basiliane Figlie
di S. Macrina", oggi presente non soltanto nelle tre Circoscrizioni ecclesiastiche bizantine
in Italia, ma estesa in Albania, nella Kosova e nel Kerala in India. La Congregazione, si inserisce in una lunga tradizione, da una parte si riferisce a S. Basilio (330ca-379) animatore del monachesimo orientale e a sua sorella Santa Macrina, di cui la Congregazione ha assunto anche il nome, e dall'altra alla tradizione monastica italo-greca incarnata dall'antico monastero di Grottaferrata, fondato da s. Nilo di Rossano (1004), che le ha dato l'orientamento prossimo. Inoltre la Congregazione ha fatto la sua prima esperienza di vita nell'ambito della Chiesa italo-albanese di Sicilia, di Calabria e di Lucania.
Il 2 aprile 2009 il vescovo di Piana degli Albanesi, Mons. Sotir Ferrara, ha presieduto la
conclusione dell'inchiesta diocesana per il processo di canonizzazione della serva di Dio
Madre Macrina, fondatrice della Congregazione basiliana femminine. In Italia vi è una
permanente tradizione più che millenaria della presenza ecclesiale bizantina, dal tempo di
Giustiniano (secolo VI) in poi, rinvigorita nel secolo XVI dall'arrivo di una forte immigrazione
albanese proveniente dall'Epiro e dalla Morea. In questa tradizione aveva offerto un grande
contributo di cultura e di santità uno stuolo di monaci, ma non vi erano mai state operanti
comunità monastiche femminili. La Congregazione fondata da Madre Macrina (1893 - 1970) dà un contributo nuovo e significativo per una nuova vitalità nel nostro tempo.
La fondazione
Madre Macrina, al secolo Elena Rapparelli, è nata il 2 aprile 1893 proprio a Grottaferrata.
Essa è stata battezzata, come la sorella Agnese in seguito anch'essa religiosa con il nome di
Sr, Eumelia, nella parrocchia dell'abbazia dal noto ieromonaco p. Arsenio Pellegrini Le due
sorelle, accompagnate nella formazione catechetica e liturgica, dai monaci, sono state indirizzate verso la vita religiosa particolarmente da p. Nilo Borgia, originario di Piana degli Albanesi.
Egli ispirò e orientò la nascente comunità religiosa.
Il vescovo di Piana degli Albanesi informa che "Madre Macrina, sotto la guida di p. Nilo si convinse che era opportuno dar vita ad una nuova congregazione religiosa con lo scopo di promuovere, con la preghiera e con l'azione, l'unione dei popoli cristiani d'oriente con la Chiesa Cattolica". Tale progetto, custodito nel cuore e nella mente, fu poi accolto ed approvato da Papa Benedetto XV e solo nel 1921 poté essere avviato a realizzazione. Infatti il 2 luglio di quell'anno, con l'approvazione e la benedizione dell'Assessore della Congregazione per la Chiesa Orientale, Mons. Isaia Papadopoulos, le due sorelle partirono per Mezzoiuso, in provincia di  Palermo, comunità di tradizione bizantina, nella giurisdizione dell'arcidiocesi di Palermo.. Ancora non esisteva l'eparchia di Piana degli Albanesi, creata nel 1937.
A Mezzoiuso i monaci basiliani di Grottaferrata avevano ripristinato l'antico monastero di S. Maria delle Grazie. La nascente comunità è stata bene accolta dall'arcivescovo di Palermo il cardinale Lualdi. E' stato proprio questi ad indicare il nome che avrebbe assunto la nuova Congregazione: "Suore Brasiliane figlie di S. Macrina". Egli stesso ne nominò responsabile Madre Macrina. Oltre che dai monaci basiliani le giovani avviate alla vita religiosa sono state aiutate e sostenute spiritualmente da D. Luigi Orione e da p. Antonio Delpouch dei Padri Bianchi, l'approvazione canonica quale istituzione di diritto diocesano e il 30 luglio si aveva la professione religiosa di Madre Macrina e di otto consorelle.
In seguito il Card. Luigi Lavitrano decretò come casa di noviziato quella di Mezzoiuso.
In Albania
La comunità conobbe un progressivo incremento. Negli anni 1939 -1946 sono state aperte
due case in Albania (Argirocastro e Fier), aiutate dai monaci basiliani, presenti in Albania, poi
chiuse con l'avvento del regime comunista. Nel dopoguerra nuove case sono state aperte in
Sicilia, in Calabria, in Lucania, nel Lazio. Negli anni 90 le basiliane ritornarono nuovamente in
Albania e in seguito si portarono anche nella Kosova e in India. Oggi la Congregazione ha un
consistente numero di giovani suore di cui molte hanno conseguito diplomi in Istituti di scienze religiose superiori.
Scopo ecumenico
Il 10 giugno del 1972 Il Santo Padre Paolo VI, con lettera del Card. De Fustemberg, Prefetto
della Congregazione per le Chiese Orientali, approvava le Costituzioni aggiornate alla luce del
Concilio Vaticano II e dichiarava la Congregazione quale istituto di diritto pontificio.
Le Costituzioni descrivono così la natura della Congregazione: "E' una istituzione di
diritto pontificio appartenente alla Chiesa bizantina italo-greca. Essa, ispirandosi alla dottrina
ascetica e alla tradizione spirituale dei Santi Padri orientali, si propone la gloria di Dio
attraverso la sequela di Cristo, maestro ed esempio di santità". All'art.3 si precisa:
"La Congregazione, fedele alla volontà della Madre fondatrice e condividendo la missione
della Chiesa, si inserisce nell'azione ecumenica che, sotto l'azione dello Spirito Paraclito e
attraverso la conversione del cuore, tende a diffondere la carità di Cristo tra gli uomini, a
promuovere ed incrementare il dialogo e la fraterna concordia per realizzare la comunione
nella perfetta unità, voluta da Cristo affinché tutti siano una cosa sola affinché il mondo creda.
La Congregazione si sente nel vincolo della carità, unita ai fratelli cristiani d'oriente, con i quali
ha in comune la fede e la ricchezza del patrimonio spirituale: liturgico, patristico, innografico e
iconografico".
La Congregazione naturalmente è pronta a svolgere il lavoro apostolico di testimonianza, di
evangelizzazione, di promozione umana in tutta la Chiesa dove potrebbe essere chiamata. Si
propone di fare questo "in collaborazione con le comunità ecclesiali e gli istituti religiosi
cattolici e non cattolici, soprattutto dell'Oriente cristiano e di lingua albanese".
Da questi dati costituzionali emerge la fonte di ispirazione di questa nuova comunità religiosa
particolare bizantina e femminile. Nell'Ufficio bizantino celebrato quotidianamente, negli scritti
dei Padri e in particolare nelle Regole di S. Basilio, tanto in quelle "fusius tractatae"
quanto in quelle "brevius tractatae", la Congregazione trova la guida sicura.
Causa di beatificazione della fondatrice
L'avviato processo di canonizzazione della fondatrice, ora che è conclusa la fase diocesana
ed l'intera documentazione raccolta è stata trasmessa a Roma, darà l'occasione per
approfondire il carisma proprio della Congregazione e per riflettere sulle vie di santificazione e
di testimonianza nel prossimo futuro.


Con Sentimenti di affetto la Comunità Parrocchiale della Kimisis di Palazzo Adriano






























Pubblichiamo dal sito Oriente Cristiano quest'articolo di grande interesse.

L’ORIENTE CRISTIANO IN ITALIA

Il mese di luglio si è aperto con una importante e solenne celebrazione, avvenuta nella cattedrale di San Nicola a Lungro in provincia di Cosenza, dove la domenica 1 luglio è stato consacrato il nuovo vescovo (eparca) della diocesi italo-albanese nella persona dell’Archimandrita Donato Oliverio. È un avvenimento di significato molto particolare, poiché le diocesi di rito greco-albanese in Italia sono soltanto due (Lungro e Piana degli Albanesi in Sicilia) e i loro pastori si succedono con frequenza assai limitata (meno di dieci nel secolo scorso). Si tratta di strutture ecclesiastiche relativamente giovani, restaurate alla tradizione del rito greco-bizantino solo agli inizi del Novecento, dopo che il pontificato di Leone XIII aveva imposto un atteggiamento di rispetto e riscoperta delle tradizioni dell’Oriente Cristiano anche nei territori soggetti da secoli alla giurisdizione latina. La vita delle comunità italo-albanesi può essere considerata un fenomeno marginale all’interno della Chiesa e della società italiana, limitata alla minoranza arbereshe presente sul nostro territorio da circa tre secoli. In realtà dietro a questo piccolo gruppo etnico-culturale si dispiega una tradizione ben più solenne ed estesa, quella del cristianesimo bizantino in generale, di cui l’Italia è stata a lungo terra di espressione tutt’altro che secondaria. Dal crollo dell’Impero Romano d’Occidente e lungo tutto il Medioevo, infatti, i territori italiani centro-meridionali sono rimasti in varia misura dipendenti politicamente, culturalmente e religiosamente da Bisanzio, e ancora oggi si conservano tesori di arte e architettura, di letteratura e devozione non inferiori a quelle della tradizione latina, soprattutto risalendo al primo millennio del cristianesimo. Questa commistione di Oriente e Occidente è in verità una delle caratteristiche principali del nostro popolo e della nostra storia, assai poco unitaria nelle sue tappe di evoluzione sociale e civile, ma molto sintetica nella sua capacità di incontro delle diversità e delle principali culture dell’Europa cristiana. La migrazione moderna degli albanesi, che ha dato vita a queste due”isole orientali” nel Meridione (anche se diverse parrocchie italo-albanesi sono disseminate lungo tutta la penisola), è da considerarsi un evento provvidenziale, che ha permesso e permette ancora oggi di ritrovare il filo di un cristianesimo italo-greco di eccezionale valore per la vita della Chiesa intera. Nonostante le tensioni e le lotte intestine dei cristiani europei, che hanno avuto i loro riflessi anche in Italia, questa antica vocazione a essere ponte e luogo di comunione ha fatto sì che tante tradizioni locali siano rimaste ben radicate nella memoria, o anche solo nell’inconscio, della cultura religiosa italiana, che spesso è meno monolitica e “papista” di altre espressioni europee come possono essere state quella spagnola o francese, o anche irlandese e polacca. Vogliamo allora augurare all’eparca Donato Oliverio, come si addice ad ogni nuovo pastore, un lungo e fruttuoso episcopato, ricco di grazie sacramentali ed evangeliche per i fedeli della sua diocesi. Esprimiamo anche un particolare sentimento di vicinanza e solidarietà per una missione così evocativa e profetica, insieme al suo confratello Sotir Ferrara di Piana degli Albanesi, ai sacerdoti celibi e sposati delle due diocesi, a tutte le comunità che mantengono viva, secondo la propria particolare modalità e dimensione, la grande tradizione orientale delle terre italo-greche, di un’Italia che nel cuore del Mediterraneo chiama tutti i popoli a riconoscere il primato della fede in Colui che dall’Oriente ha esteso al mondo la luce della salvezza e della misericordia dell’unico Dio.

Padre Stefano Caprio, docente presso il Pontificio Istituto Orientale