21 agosto 2010

22 AGOSTO 2010
XIII Domenica di S. Matteo – S. Agatonico martire

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kirìo pàsa i ghi, psàlate dhi to onòmati aftù, dhòte dhòxan enèsi aftù.

SECONDA ANTIFONA

Agapà Kìrios tas pìlas Siòn, ipèr pànda ta skinòmata Iakòv.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Etìmi i kardhìa mu, o Theòs, etìmi i kardìa mu; àsome ke psalò en ti dhòxi mu.

En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

TROPARI

Della Domenica: To fedhròn tis anastàseos kìrighma ek tu anghèlu mathùse e tu Kirìu mathìtrie, ke tin progonikìn apòfasin aporrìpsase tis Apostòlis kafchòmene èlegon: Eskìlefte o thànatos, ignèrthi Christòs o Thèos, dhorùmenos to kòsmo to mèga èleos.

Della festa: En ti ghennìsi…

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon, ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen: os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (1Cor. 16,13-24)

Fratelli, vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carità. Una raccomandazione ancora, o fratelli: conoscete la famiglia di Stefana, che è primizia dell’Acaia; hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli; siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro. Io mi rallegro della visita di Stefana, di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza; essi hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro. Sappiate apprezzare siffatte persone. Le comunità dell’Asia vi salutano. Vi salutano molto nel Signore Àquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa. Vi salutano i fratelli tutti. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Il saluto è di mia mano, di Paolo. Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. Maranà tha: vieni, o Signore! La grazia del Signore Gesù sia con voi. Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù!

VANGELO (Mt. 21,33-42)

Disse il Signore questa parabola: “C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l’altro lo uccisero, l’altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori dalla vigna e l’uccisero. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?”. Gli rispondono: “Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. E Gesù disse loro: “Non avete letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo; dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?”.

MEGALINARIO

E gheneè pàse makarizomèn se tin mònin Theotòkon. Nenìkinde tis fìseos i òri en si, Parthène àchrande: parthenèvi gar tòkos ke zoìn promnistèvete thànatos. I metà tòkon Parthènos, ke metà thànaton zòsa, sòzis aì, Theotòke, tin klironomìan su.

KINONIKON

Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Apòstoli ek peràton, sinathristhèndes enthàdhe, Ghetsìmanì to chorìo, kidhevsatè mu to sòma; ke si Iiè ke Theè mu, paralavè mu to pnèvma.

Commento al Vangelo:
Diversi tratti di questa parabola rispecchiano la situazione palestinese. Quando si pianta una vigna, viene eretto un muricciolo a sua protezione, vi si scava una buca per la pigiatura, e se la vigna è vasta, vi si erige una torre di guardia per tenere lontani i ladri. Ma più importanti di questi tratti sono i riferimenti veterotestamentari della parabola. L’immagine della vigna era già stata utilizzata da Osea (10,10) e poi ampiamente ripresa da Isaia, Geremia, Ezechiele e dal Salmo 80.
La parabola, però, sembra soprattutto riferirsi al famoso canto della vigna di Isaia (5,1-7). Il profeta descrive la monòtona storia del suo popolo: da una parte l’amore di Dio e dall’altra il continuo tradimento del popolo. È una storia – conclude il profeta – che non può continuare all’infinito: la pazienza di Dio ha un limite e ci sarà un giudizio. Dio si aspettava uva pregiata ed invece ebbe uva scadente. A questo punto non resta che il castigo: la vigna cadrà in rovina, non sarà più coltivata e vi cresceranno pruni e rovi.
Fin qui il canto di Isaia. Nella parabola evangelica vengono precisati due punti:
- il castigo non consiste semplicemente in una generica disobbedienza del popolo di Dio, ma nel fatto che questo popolo ha tolto di mezzo i suoi profeti e – alla fine – addirittura uccide il Messia. È un duro giudizio su Israele ed è un perenne avvertimento per gli stessi cristiani.
- Il secondo punto consiste nel fatto che il Regno sarà tolto ai capi d’Israele e sarà dato ai pagani, sarà tolto ai vicini e passerà ai lontani. Anche questo è un duro giudizio su Israele e un perenne monito ai cristiani. Dio è fedele al suo popolo, ma non al punto che il suo disegno di salvezza venga interrotto. Se i cristiani rifiutano, le sue esigenze di verità e giustizia troveranno altrove il modo di esprimersi.

14 agosto 2010

15 AGOSTO 2010
XII DOMENICA DI S. MATTEO
DORMIZIONE DELLA NOSTRA SANTISSIMA SOVRANA LA MADRE DI DIO E SEMPRE VERGINE MARIA



“Con quali parole spiegherò il tuo mistero?”, si chiese S. Teodoro Studita parlando della Dormizione della Madre di Dio, “La mia mente è in difficoltà (…): è un mistero insolito e sublime, che trascende tutte le nostre idee. Non trovo nient’altro di simile, cui possa paragonarsi, onde offrirne subito un saggio dalle cose che capitano, ma solo dalle cose che sono sopra di noi. (…) Fu precisamente nel tuo ineffabile parto che mutasti l’ordine della natura: quando mai, infatti, si è udito che una vergine abbia concepito senza seme? Colei che diviene madre partorendo rimane vergine incorrotta, perché Dio era quello che veniva generato. Così nella tua dormizione vitale, differenziandoti da tutti gli altri, tu sola a buon diritto rivesti la gloria della persona completa di anima e di corpo”.
Queste parole possono essere considerate un piccolo saggio dell’importanza e della portata teologica che questa festa riveste nelle Chiese di tradizione bizantina.
La festa dell’Assunta sembra, infatti, essere di origine orientale; resta, tuttavia, incerta e discussa tra gli studiosi sia la località in cui si è sviluppata sia il tempo. Sono state, quindi, formulate delle ipotesi. La più accreditata si fonda sulla notizia riportata da un Lezionario georgiano del sec. VIII, - che, tuttavia, sembra rispecchiare usanze liturgiche di Gerusalemme risalenti ad almeno un secolo prima -, che il 15 agosto si celebrava una festa mariana nella chiesa fatta costruire dall’imperatrice Eudocia nel Getsemani, poiché in questa chiesa veniva indicato il sepolcro della Vergine.
La letteratura apocrifa sul trapasso della Madre di Dio certamente avrà contribuito alla diffusione e all’affermazione di questa festa gerosolimitana. Comunque si ha notizia che fu l’imperatore Maurizio (582-602) ad ordinare la celebrazione di questa ricorrenza in tutto l’impero.
A partire da quest’epoca, infatti, troviamo che i maggiori teologi, poeti, oratori sacri celebrarono le meraviglie di questa memoria tanto da farci intendere che la Dormizione della Madre di Dio era ben presto divenuta la festa mariana più importante della Grande Chiesa bizantina.
Fin dal tempo di S. Teodoro Studita (759-826) fu fatta precedere da un digiuno di 15 giorni, caratteristica tipica delle grandi solennità. Durante questa breve quaresima, non si sa bene da quando, ogni sera viene cantata un’Ufficiatura detta “Paraklisis”, tra le più diffuse e popolari. Il termine “Paraklisis” significa tanto intercessione che consolazione: con questa supplica, infatti, si impetra l’intercessione della Vergine presso il Signore per la guarigione delle anime e dei corpi da ogni genere di mali e si ha la consolazione di essere esauditi per i meriti della Madre celeste.
“Ti sei addormentata, sì”, esclama nello stesso panegirico lo Studita, “ma non per morire; assunta, ma non lasci di proteggere il genere umano”.
Importante è stato, infine, un decreto dell’imperatore Andronico II (1282-1328) con cui l’intero mese di agosto è stato consacrato al mistero della Dormizione e Assunzione della beata Vergine.
Fino a questo momento la terminologia per designare la festa è stata varia, ma è opportuno porre in debito risalto che il termine proprio bizantino per designare la celebrazione è “Koìmesis” (Dormizione). Le motivazioni di questa preferenza ci vengono date da San Giovanni Damasceno: “Come chiameremo questo mistero che ti riguarda?”, dice rivolgendosi direttamente alla Vergine nella prima omelia dedicata a tale solennità, “La chiameremo morte? Sebbene la tua sacratissima e beata anima, secondo le leggi della natura, si stacchi dal perfetto e puro tuo corpo, e il corpo sia affidato secondo la legge comune alla tomba, ciononostante non soggiorna nella morte né è dissolto dalla corruzione. A Colei la cui verginità rimase illibata nel parto, fu custodito incorruttibile il corpo anche nel suo trapasso e fu trasferito in una dimora migliore e più divina non soggetta ai colpi della morte, ma che si perpetua per gli infiniti secoli dei secoli.
Come questo nostro sole che tutto illumina e sempre splende, nascosto per un breve momento dal corpo della luna, sembra sparire, avvolgersi nella caligine e mutare lo splendore in tenebra e tuttavia esso non viene privato della sua propria luce, perché ha in se stesso una fonte eterna rigurgitante di luce, o meglio, lui stesso è fonte di luce inestinguibile, secondo quanto ha stabilito Dio che l’ha creato, così anche tu: fonte perenne della vera Luce, scrigno inesauribile di Colui che ha la vita inesauribile di luce infinita, di vita immortale e di vera felicità, fiumi di grazia, sorgenti di medicamenti, una benedizione perpetua.
Tu sei fiorita come il pomo in mezzo agli alberi del pomario e il tuo frutto è dolce al palato dei fedeli. Pertanto, io non chiamerei morte la tua santa dipartita, ma dormizione o passaggio: meglio, un’entrata nella dimora di Dio”.
Non si tratta, quindi, di un termine tendente a porre in risalto un aspetto anziché un altro della festa, ma di concetto comprensivo tanto della morte che dell’Assunzione.
Compendio di questa rappresentazione sembra essere una breve composizione poetica (exapostilarion, canto di congedo) cantata alla fine della “Paraklisis”, mentre i fedeli si recano a baciare l’icone.
“Apostoli, convenuti da ogni parte della terra nel luogo del Getsemani, prendetevi cura del mio corpo. E tu, mio figlio e mio Dio, prendi il mio spirito”.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kirìo pàsa i ghi, psàlate dhi to onòmati aftù, dhòte dhòxan enèsi aftù.

SECONDA ANTIFONA

Agapà Kìrios tas pìlas Siòn, ipèr pànda ta skinòmata Iakòv.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Etìmi i kardhìa mu, o Theòs, etìmi i kardìa mu; àsome ke psalò en ti dhòxi mu.

En ti Ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti Kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs, ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

TROPARI

Della Domenica: Effrenèstho ta urània, agalìastho ta epìghia, òte epiìse kràtos en vrachìoni aftù o Kìrios; epàtise to thanàto ton thànaton, protòtokos ton nekròn eghèneto; ek kilìas Adhu errìsato imàs ke parèsche to kòsmo to mèga èleos.

Della festa: En ti Ghennìsi …

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon, ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen: os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (Fil. 2,5-11)

Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.

VANGELO (Lc. 10,38-42.11,27-28)

In quel tempo, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”.

MEGALINARIO

E gheneè pàse makarizomèn se tin mònin Theotòkon. Nenìkinde tis fìseos i òri en si, Parthène àchrande: parthenèvi gar tòkos ke zoìn promnistèvete thànatos. I metà tòkon Parthènos, ke metà thànaton zòsa, sòzis aì, Theotòke, tin klironomìan su.

KINONIKON

Potìrion sotirìu lìpsome, ke to ònoma Kirìu epikalèsome. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Apòstoli ek peràton, sinathristhèndes enthàdhe, Ghetsìmanì to chorìo, kidhevsatè mu to sòma; ke si Iiè ke Theè mu, paralavè mu to pnèvma.

OPISTHAMVONOS

Christè o Theòs imòn, o dhià thanàtu tin afthoròn su Mitèra ek zoìs pros zoìn tin akìraton metastìsas, ke tafìsan aftìn tis en tàfo dhiafthoràs ipèr lògon ipsilotèran ergasàmenos, ke pros kidhìan aftìs tus sus Apostòlus pandachòthen sinagagòn, aftòs, tes presvìes aftìs, pàndas imàs tus tin aftìs eortàzondas metàstasin lìtrose pàsis nekràs ennìas ke pràxeos, ke pàsis psichikìs dhiafthoràs elefthèroson, tu tis apognòseos thanàtu dhiàsoson, ke tu tis apistìas ke kakopistìas mnìmatos dhiafìlaxon; ke tis pistìs vasilèfsi pàsan epivulìn ke tirannìda katakìmison, ke pàsan varvàron thrasìtita nèkroson, ke pàndon ton epanistamènon to so kirìgmati ta friàgmata tapìnoson; ke pàndas tis eonìu zoìs kataxìoson, òti pàndas anthròpus thèlis sothìne, ke prèpi si dhòxa, sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke to zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O anastàs ek nekròn, Christòs o alithinòs Theòs imòn, tes presvìes tis panachràndu ke panamòmu aftù Mitròs is tin Kìmisin ke tin is uranùs metàstasin eortàzomen…

13a SETTIMANA DI SAN MATTEO

16 – L – FESTIVITA’ DEL SS. CROCIFISSO – Traslazione da Edessa dell’icona non dipinta da mano d’uomo del Signore nostro Gesù Cristo, cioè del santo Mandilio – S. Diomede martire
1Tim. 3,13-4,5 Lc. 9,51-56.10,22-24.13,22

17 – M – S. Mirone martire
2Cor. 8,16-9,5 Mc. 3,13-21

18 – M – Ss. Floro e Lauro, martiri
2Cor. 9,12-10,7 Mc. 3,20-27

19 – G – Ss. Andrea Stratilata insieme ai suoi 2.593 compagni, martiri
2Cor. 10,7b-18 Mc. 3,28-35

20 – V – S. Samuele profeta
2Cor. 11,5-21a Mc. 4,1-9

21 – S – S. Taddeo apostolo – S. Bassa martire
1Cor. 4,9-16 Mc. 3,13-21

7 agosto 2010

08 AGOSTO 2010
XI Domenica di S. Matteo – S. Emiliano, vescovo di Cizico

PRIMA ANTIFONA

Mègas Kìrios, ke enetòs sfòdhra en pòli tu Theù imòn, en òri aghìo aftù.

SECONDA ANTIFONA

I themèlii aftù en tis òresi tis aghìis.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en to òri to Thavòr metamorfothìs, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Ta elèi su, Kìrie, is ton eòna àsome.

Metemorfòthis en to òri, Christè o Theòs, dhìxas tis Mathitès su tin dhòxan su, kathòs idhìnando. Làmpson ke imìn tis amartolìs to fos su to aìdhion, presvìes tis Theotokù; Fotodhòta, dhòxa si.

ISODHIKON

Thavòr ke Ermòn to onomatì su agalliàsonde.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en to òri to Thavòr metamorfothìs, psàllondàs si: Allilùia.

TROPARI

Della Domenica: Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.

Della festa: Metemorfòthis en to òri…

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Epì tu òrus metemorfòthis ke os echòrun i mathitè su tin dhòxan su, Christè o Theòs, etheàsando: ìna òtan se ìdhosi stavrùmenos, to men pàthos noìsosìn ekùsion, to dhe kòsmo kirìxosin, òti si ipàrchis alithòs tu Patròs to apàvgasma.

EPISTOLA (1Cor. 9,2-12)

Fratelli, voi siete il sigillo del mio apostolato nel Signore. Questa è la mia difesa contro quelli che mi accusano. Non abbiamo forse noi il diritto di mangiare e di bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Ovvero solo io e Bàrnaba non abbiamo il diritto di non lavorare? E chi mai presta servizio militare a proprie spese? Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? O chi fa pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che dice così. Sta scritto infatti nella legge di Mosè: Non metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si dà pensiero dei buoi? Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu scritto per noi. Poiché colui che ara deve arare nella speranza di avere la sua parte, come il trebbiatore trebbiare nella stessa speranza. Se noi abbiamo seminato in voi le cose spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni materiali? Se gli altri hanno tale diritto su di voi, non l’avremmo noi di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non recare intralcio al vangelo di Cristo.

VANGELO (Mt. 18,23-35)

Disse il Signore questa parabola: “Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore, gli errori, al vostro fratello”.

MEGALINARIO

Nin ta anìkusta ikùsthi: O apàtor gar Iiòs o tis Parthènu ti patròa fonì endhòxos martirìte, ìa Theòs ke ànthropos o aftòs is tus eònas.

KINONIKON

En to fotì tis dhòxis tu prosòpu su, Kìrie, porefsòmetha is ton eòna. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Metemorfòthis en to òri…

APOLISIS

O en to òri to Thavòr metamorfothìs en dhòxi, enòpion ton aghìon aftù Mathitòn ke Apostòlon ke anastàs ek nekròn…

Commento al Vangelo:
Questa parabola, propria di Matteo, è uno dei brani più severi dei Vangeli. Sottolinea il dovere del perdono adducendo un altro motivo: il perdono concesso dall’uomo all’altro uomo è una condizione del perdono concesso da Dio all’uomo (“Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”). Il perdono di Dio, quindi, è il motivo e la misura del perdono fraterno. Dobbiamo perdonare agli altri perché sarebbe inconcepibile tenere per sé un dono immenso gratuitamente ricevuto. Dobbiamo perdonare senza misura, perché Dio ci ha già fatti oggetto di un perdono senza misura: è dal senso della gratuità del dono di Dio che nasce il perdono. Il contrasto fra i due quadri della parabola, infatti, non ha come scopo principale quello di far risaltare la diversità di comportamento nelle due diverse situazioni, intende piuttosto far rilevare quanto sia degno di condanna il servo che non perdona dal momento che egli fu per primo oggetto del perdono divino. Il servo è condannato perché tiene il dono per sé e non permette che il suo perdono diventi gioia e perdono anche per i fratelli. Bisogna invece imitare il comportamento di Dio.

12a SETTIMANA DI SAN MATTEO

9 – L – S. Mattia apostolo
Atti 1,12-17.21-26 Lc. 10,16-21

10 – M – S. Lorenzo martire e arcidiacono
2Tim. 2,1-10 Gv. 15,17-16,2

11 – M – S. Euplo martire
2Cor. 6,11-16b Mc. 1,23-28

12 – G – Ss. Fozio e Aniceto, martiri
2Cor. 7,1b-10a Mc. 1,29-35

13 – V – Traslazione delle reliquie di S. Massimo il confessore
2Cor. 7,10-16 Mc. 2,18-22

14 – S – S. Michea profeta
1Cor. 1,26-2,5 Mt. 20,29-34

31 luglio 2010

01 AGOSTO 2010
X Domenica di S. Matteo – Processione con i preziosi legni della croce preziosa e vivificante – Ss. 7 martiri Maccabei – S. Eleazaro – S. Solomone

TROPARI

Della Domenica: Tu lìthu sfraghisthèndos ipò tòn Iudhèon ke stratiotòn filassònton tòn achrandòn su sòma, anèstis triìmeros, Sotìr, dhorùmenos to kosmo tin zoìn; dhià tùto e dhinàmis tòn uranòn evòon si, Zoodhòta: Dhòxa ti anastàsi su, Christè; dhòxa ti vasilìa su; dhòxa tì ikonomìa su, mòne filànthrope.

Della Croce: Sòson, Kìrie, ton laòn su ke evlòghison tin klironomìan su; nìkas tis ierèvsi katà varvàron dhorùmenos, ke to son filàtton dhià tu Stavrù su polìtevma.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen; os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (1Cor. 4,9-16)

Fratelli, ritengo che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo. Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!

VANGELO (Mt. 17,14-23)

In quel tempo si avvicinò a Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: “Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell’acqua; l’ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo”. E Gesù rispose: “O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui”. E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio usci da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?”. Ed egli rispose: “Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno”. Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: “Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà”.

Commento al Vangelo:
I discepoli non riescono a liberare un uomo dal demonio per la loro “poca fede”. Essi, infatti, non hanno poteri personali, possono solamente far loro la potenza del Signore, e per questo occorre la fede. Ma non ne serve molta, ne basta poca purché autentica: è sufficiente averne quanto un granellino di senape per spostare anche le montagne.
Sembra una contraddizione: Gesù rimprovera i discepoli per la loro poca fede e poi dice che ne basta poca. Nel linguaggio evangelico “poca fede” non designa la quantità ma la qualità: la poca fede di chi non si fida dell’amore del Padre e cerca sicurezza nell’accumulo dei beni. La poca fede dei discepoli che sul mare in tempesta dubitano della potenza di Gesù, o ancora la poca fede di Pietro che uscito dalla barca, esita e si impaurisce. In tutti questi casi si tratta di una fede esitante, contraddittoria, dubbiosa.
Il tratto più caratteristico è lo sforzo di Gesù di concentrare l’attenzione dei discepoli sulla croce. Qui ne parla per la seconda volta, ribadendo gli stessi concetti della prima. Ma attorno a questo tema centrale, che fa da filo conduttore, ruotano altri insegnamenti più particolari, quasi tutti rivolti ai discepoli. Qui ne troviamo due: il primo è la necessità della fede; e l’altro un invito a non scandalizzare inutilmente.

11a SETTIMANA DI SAN MATTEO

2 – L – Traslazione delle reliquie del santo protomartire e arcidiacono Stefano
Atti 6,8-7,5a.47-60 Mt. 21,33-42

3 – M – Ss. Isacco, Dalmato e Fausto
2Cor. 2,14-3,3 Mt. 23,23-28

4 – M – Ss. 7 fanciulli di Efeso – S. Eudocia martire
2Cor. 3,4-11 Mt. 23,29-39

5 – G – S. Eusignio martire
1Pt. 1,1-2,10 Mt. 24,13-28

6 – V – COMMEMORAZIONE DELLA SANTA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE E SALVATORE NOSTRO GESU’ CRISTO
2Pt. 1,10-19 Mt. 17,1-9

7 – S – S. Domezio martire
1Cor. 1,3-9 Mt. 19,3-12

30 luglio 2010

LETTERA DEL CONSIGLIO PASTORALE PARROCCHIALE

A Sua Em. Rev.ma Mons. Tarcisio Card. Bertone
Segretario di Stato
00120 Città del Vaticano

A Sua Em. Mons. Leonardo Card. Sandri
Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali
00120 Città del Vaticano

A Sua Ecc. Rev.ma Mons. Francesco Pio Tamburrino
Arcivescovo Metropolita di Foggia
e Delegato Pontificio per l’Eparchia di Piana degli Albanesi
Via Oberdan 13
71121 Foggia

A Sua Ecc. Rev.ma Mons. Sotir Ferrara
Eparca di Piana degli Albanesi
Piazza San Nicola 1
90037 Piana degli Albanesi (PA)

A Mons. Maurizio Malvestiti
Sotto-Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali
00120 Città del Vaticano

E p.c. Al Parroco Papàs Sepa Borzì
Parrocchia Maria SS. Assunta
Piazza Umberto I 49
90030 Palazzo Adriano (PA)


Eminenze ed Eccellenze Rev.me,
con profonda amarezza e rabbia apprendiamo la decisione del Delegato Pontificio Mons. Francesco Pio Tamburrino, circa il trasferimento del nostro Arciprete, Papàs Sepa Borzì dalla Parrocchia Greca di Palazzo Adriano a quella di Contessa Entellina. Ci chiediamo allora quale sia il motivo di questo trasferimento. È proprio questo il problema… non riusciamo a trovare una risposta giustificante tale scelta “folle e ingiusta”, anche perché secondo il dettato del Diritto Canonico un Parroco può essere trasferito o rimosso per gravi motivi pastorali o per motivi scandalosi, cosa che non risulta nell’operato e nell’agire di Papàs Sepa. La sua venuta nella nostra comunità viene vista e giudicata agli occhi di tutti come un segno di rinascita e di rinnovamento sia spirituale che materiale. Da subito (stiamo parlando dal 01 Settembre 2004) il Papàs si è impegnato a dare una nuova impronta alla Parrocchia, inserendosi attivamente e collaborando con dedizione a ricostruire quel rapporto interrottosi anni prima con i fedeli e con le varie realtà associative presenti nella Comunità. Dal punto di vista pastorale l’Arciprete ha prima ripristinato la celebrazione della Divina Liturgia nell’ora vespertina, venendo incontro alle esigenze dei fedeli, permettendo nello stesso tempo una maggiore e attiva partecipazione degli stessi alle ufficiature liturgiche.
Poi, grazie alla ristrutturazione della Chiesa di San Giovanni Battista ha introdotto la liturgia domenicale nella medesima Chiesa dando possibilità alle persone anziane dell’intero quartiere, impossibilitate a raggiungere la Chiesa Madre, di soddisfare il precetto festivo.
Sempre disponibile e pronto in qualsiasi circostanza ad ascoltare le problematiche dei fedeli che si rivolgono a lui come Padre Spirituale, trova sempre parole di conforto e di speranza ad ogni esigenza, visitando settimanalmente le persone inferme, anelanti di ricevere la Santa Eucarestia, portando, in silenzio e riservatezza, aiuti materiali ed economici a quelle persone bisognose, mettendo in atto le opere di misericordia.
Sempre sotto il profilo pastorale, Papàs Sepa si adopera alla formazione culturale e spirituale dei giovani della Parrocchia arrivando così alla nascita dell’Oratorio, luogo di incontro e punto di aggregazione dei bambini, dei giovani palazzesi e delle varie Confraternite operanti attivamente nella Parrocchia.
Parallelamente al rinnovamento spirituale nasce il rinnovamento strutturale, iniziando nel febbraio del 2005 col rinnovo dell’impianto fonico ed elettrico e la tinteggiatura della Chiesa. Papàs Sepa riesce ad attirare fiducia e stima dei fedeli, i quali partecipano economicamente, manualmente ed idealmente alla realizzazione delle cappelle delle navate laterali e delle Iconi delle feste despotiche e teomitoriche.
Riguardo alla cura strutturale va menzionata la realizzazione dell’Iconostasi e la decorazione del baldacchino sovrastante l’altare. Grande impegno e sacrificio economico lo inducono ad iniziare i lavori al Santuario della Madonna delle Grazie, mèta di pellegrinaggio anche dei comuni limitrofi, chiuso nel 2002 per carenze strutturali. Non trovando risposta alle sue richieste dall’Eparca e dall’Eparchia stessa, supportato dall’entusiasmo e dalla fede dei fedeli palazzesi verso quel Santo Luogo e dal contributo economico degli stessi, ha acceso un mutuo di circa € 200.000,00 non ricevendo nessun contributo da parte dell’Eparchia visto che i fondi destinati all’edilizia di culto sono stati dirottati al pagamento di un mutuo per la ricostruzione del Seminario di Palermo, oggi adibito a scuola e affittato alla Provincia Regionale di Palermo. E qui nasce un altro interrogativo: “era necessario ricostruire il Seminario vedendo la grave situazione in cui versano le nostre chiese?”.
La notizia fulminante del trasferimento del nostro Parroco fa perdere la fede e la fiducia dei fedeli verso le gerarchie ecclesiali che al posto di far prosperare la vigna del Signore cercano a tutti i costi di potarla.
Con questa lettera vogliamo essere vicini al nostro amato Parroco, capace di essere un buon padre Spirituale nonché un uomo coraggioso e allo stesso tempo umile e innamorato delle tradizioni secolari gelosamente conservate, in questo periodo di sofferenza e di tribolazione per lui e per l’intera comunità ecclesiale palazzese.
Con la speranza che queste parole penetrino profondamente nei Vostri cuori, Vi chiediamo, umilmente e con profonda stima, che il nostro Parroco continui ancora a lavorare nella mistica vigna di Palazzo Adriano che il Signore gli ha affidato, facendola prosperare ancora per molti anni, is pollà éti, ad multos annos.

Palazzo Adriano, 29/07/2010

I laici del Consiglio Pastorale Parrocchiale

17 luglio 2010

18 LUGLIO 2010
Domenica dei Ss. Padri del IV Concilio Ecumenico in Calcedonia, e dei Ss. Padri del I Concilio Ecumenico in Nicea, del II in Costantinopoli, del III in Efeso, del V e del VI in Costantinopoli – S. Emiliano martire

Sono commemorati i Ss. Padri che presero parte ai primi sei grandi Concili Ecumenici, cioè: il Concilio di Nicea (325), dove si proclamò contro Ario la divinità del Verbo; di Costantinopoli I (381), che, contro i Macedoniani, definì la divinità dello Spirito Santo; di Efeso (431) che condannò Nestorio impugnatore della divina Maternità della Vergine; di Calcedonia (451), che contro Eutiche sancì la duplice natura di Cristo; di Costantinopoli II (553), detto dei Tre capitoli; di Costantinopoli III (680) tenuto contro i Monoteliti.

TROPARI

Della Domenica: Katèlisas to Stavrò su ton thànaton; inèoxas to listì ton Paràdhison; ton Mirofòron ton thrìnon metèvales, ke ti sis Apostòlis kirìttin epètaxas: òti anèstis, Christè o Theòs, parèchon to kòsmo to mèga èleos.

Dei Ss. Padri: Iperdhedhoxasmènos i, Christè o Theòs imòn, o fostìras epi ghis tus Patèras imòn themeliòsas, ke dhi’aftòn pros tin alithinìn pìstin pàndas imàs odhighìsas, polièvsplaghne, dhòxa si.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen; os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (Tito 3,8-15)

Diletto figlio Tito, questa parola è degna di fede e perciò voglio che tu insista in queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini. Guardati invece dalle questioni sciocche, dalle genealogie, dalle questioni e dalle contese intorno alla legge, perché sono cose inutili e vane. Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa. Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, cerca di venire subito da me a Nicòpoli, perché ho deciso di passare l’inverno colà. Provvedi al viaggio di Zena, il giureconsulto, e di Apollo, che non manchi loro nulla. Imparino così anche i nostri a distinguersi nelle opere di bene riguardo ai bisogni urgenti, per non vivere una vita inutile. Ti salutano tutti coloro che sono con me. Saluta quelli che ci amano nella fede. La grazia sia con tutti voi!

VANGELO (Mt. 5,14-19)

Disse il Signore ai suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.

9a SETTIMANA DI SAN MATTEO

19 – L – S. Macrina, sorella di Basilio il grande – S. Dios
Ef. 5,8b-19 Mt. 25,1-13

20 – M – S. Elia il tisbita, profeta
Giac. 5,10-20 Lc. 4,22-30

21 – M – Ss. Giovanni e Simeone, il folle per Cristo
1Cor. 13,4-14,5 Mt. 20,1-16

22 – G – S. Maria Maddalena miròfora, pari agli apostoli
1Cor. 9,2-12 Lc. 8,1-3

23 – V – Traslazione delle reliquie di S. Foca ieromartire – S. Ezechiele profeta – Ss. Trofimo, Teofilo e compagni martiri
1Cor. 14,26-40 Mt. 21,12-14.17-20

24 – S – S. Cristina megalomartire
2Tes. 2,13-3,5 Gv. 15,17-16,2

10 luglio 2010

11 LUGLIO 2010
VII Domenica di S. Matteo – S. Eufemia megalomartire, degna di ogni lode

TROPARI

Della Domenica: Anghelikè Dhinàmis epì to mnìma su, ke i filàssondes apenekròtisan; ke ìstato Marìa en to tàfo zitùsa to àchrandòn su sòma. Eskìlefsas ton Adhin mi pirasthìs ip’aftù, ipìndisas ti Parthèno, dhorùmenos tin zoìn. O anastàs ek ton nekròn, Kìrie, dhòxa si.

Della Santa: I amnàs su, Iisù, kràzi megàli ti fonì. Se, ninfìe mu, pothò, ke se zitùsa athlò, ke sistavrùme ke sinthàptome to vaptismò su; ke pàscho dhià se, os vasilèvso sin si, ke thnìsko ipèr su, ìna ke zìso en si; all’òs thisìan àmomon prosdèchu tin metà pòthu tithìsan si. Aftìs presvìes, os eleìmon, sòson tas psichàs imòn.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen; os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (2Cor. 6,1-10)

Fratelli, poiché noi siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero; ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle veglie, nei digiuni; con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!

VANGELO (Mt. 9,27-35)

In quel tempo, mentre Gesù si allontanava di là, due ciechi lo seguivano urlando: “Figlio di Davide, abbi pietà di noi”. Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesù disse loro: “Credete voi che io possa fare questo?”. Gli risposero: “Si, o Signore!”. Allora toccò loro gli occhi e disse: “Sia fatto a voi secondo la vostra fede”. E si aprirono loro gli occhi. Quindi Gesù li ammonì dicendo: “Badate che nessuno lo sappia!”. Ma essi, appena usciti, ne sparsero la fama in tutta quella regione. Usciti costoro, gli presentarono un muto indemoniato. Scacciato il demonio, quel muto cominciò a parlare e la folla presa da stupore diceva: “Non si è mai vista una cosa simile in Israele!”. Ma i farisei dicevano: “Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni”. Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando l’evangelo del regno e curando ogni malattia e infermità nel popolo.

Commento al Vangelo:
I miracoli sono sempre legati alla fede, ma non è la fede dell’uomo che guarisce, ma la potenza di Dio. È la parola di Cristo che guarisce e la fede è la condizione perché Dio operi i miracoli. Perché avere fede significa, in sostanza, confessare la propria impotenza e proclamare nel contempo la propria fiducia nella potenza di Dio. Fede è rifiuto di contare su se stessi per contare unicamente su Dio. Il grido degli ammalati che invocano il Cristo esprime sempre questo duplice atteggiamento. L’evangelista tiene a precisare un’altra cosa, e cioè che i miracoli di Gesù ottengono insieme l’assenso e il dissenso. Suscitano l’entusiasmo delle folle: “Non si è mai visto nulla di simile in Israele” . Ma anche la netta opposizione dei farisei: “Egli scaccia i demoni per opera del principe dei demoni”.

8a SETTIMANA DI SAN MATTEO

12 – L – Ss. Proclo e Ilario, martiri
1Cor. 9,13-18 Mt. 16,1-6

13 – M – Sinassi dell’arcangelo Gabriele – S. Stefano il sabaita, taumaturgo
Eb. 2,2-10 Lc. 10,16-21

14 – M – S. Aquila apostolo – S. Giuseppe il confessore, arcivescovo di Tessalonica
1Cor. 10,12-22 Mt. 16,20-24

15 – G – Ss. Quirico e Giulitta, martiri
1Cor. 10,28-11,8 Mt. 16,24-28

16 – V – Ss. Atenogene ieromartire e i suoi 10 discepoli
1Cor. 11,8-23a Mt. 17,10-18

17 – S – S. Marina megalomartire
Gal. 3,23-4,5 Mc. 5,24-34

3 luglio 2010

04 LUGLIO 2010
VI Domenica di S. Matteo – S. Andrea di Creta, il gerosolimitano


TROPARI

Della Domenica: Ton sinànarchon Lògon Patrì ke Pnèvmati, ton ek Parthènu techthènda is sotirìan imon, animnìsomen pistì ke proskinìsomen; òti ivdhòkise sarkì, anelthìn en to stavrò, ke thànaton ipomìne, ke eghìre tus tethneòtas, en ti endhòxo Anastàsi aftù.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen; os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (Rom. 12,6-14)

Fratelli, abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia. La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi per l’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite.

VANGELO (Mt. 9,1-8)

In quel tempo Gesù, salito su una barca, passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: “Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”. Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: “Costui bestemmia”. Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: “Perché mai pensate cose malvage nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: alzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e va’ a casa tua”. Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.

7a SETTIMANA DI SAN MATTEO

5 – L – S. Atanasio del monte Athos, teoforo – S. Lampado il taumaturgo – S. Marta, madre di S. Simeone il taumaturgo
Gal. 5,22-6,2 Mt. 11,27-30

6 – M – S. Sisoe il grande
1Cor. 6,20-7,12 Mt. 14,1-13

7 – M – Ss. Tommaso del Monte Maleo e Acacio della Scala – S. Ciriaca megalomartire
Gal. 3,23-4,5 Mc. 5,24-34

8 – G – S. Procopio megalomartire
1Tim. 4,9-15 Lc. 6,17b-19.9,1-2.10,16-21

9 – V – S. Pancrazio ieromartire, vescovo di Taormina
1Cor. 7,35-8,7 Mt. 15,29-31

10 – S – Ss. 45 martiri di Nicopoli in Armenia
Rom. 12,1-3 Mt. 10,37-11,1

Commento al Vangelo:
All’episodio della liberazione degli indemoniati Gadareni, segue il miracolo della guarigione del paralitico. A differenza di Marco, Matteo è scarno di particolari, a lui interessa il solo significato religioso e al centro dell’episodio la sola cosa che conta è la fede. L’apparizione dell’ammalato e la sua fede evidente determinano non una guarigione ma una dichiarazione di perdono dei peccati, il che non era la reazione attesa. E tuttavia è in perfetta armonia con il concetto evangelico del miracolo. Se Matteo è sbrigativo sui particolari, non lo è però sul tema della fede, che anzi sottolinea più di Marco: è sempre e solo la fede che conta, ecco l’insegnamento. È anche interessante la finale del racconto: per l’evangelista la meraviglia della folla non è – come per Marco e Luca – suscitata dal prodigio compiuto, ma sorge perché tale potere – quello di rimettere i peccati – è stato dato agli uomini. È la meraviglia dei credenti di fronte a una Chiesa, di fronte a una comunità fatta di uomini, che tuttavia ha il potere di rendere contemporanea l’azione misericordiosa di Dio.

26 giugno 2010

27 GIUGNO 2010
V Domenica di S. Matteo – S. Sansone l’ospedaliere – Giornata per la carità del Papa


TROPARI

Della Domenica: To fedhròn tis anastàseos kìrighma ek tu anghèlu mathùse e tu Kirìu mathìtrie, ke tin progonikìn apòfasin aporrìpsase tis Apostòlis kafchòmene èlegon: Eskìlefte o thànatos, ignèrthi Christòs o Thèos, dhorùmenos to kòsmo to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Perivolìn pàsi pistìs aftharsìas, theocharìtote Aghnì, edhorìso, tin ieràn esthìta su, meth’is to ieròn sòma su eskèpasas, skèpi pàndon anthròpon; ìsper tin katàthesin eortàzomen pòtho, ke ekvoòmen fòvo si, semnì: chère Parthène, christianòn to kavchima.

EPISTOLA (Rom. 10,1-10)

Fratelli, il desiderio del mio cuore e la mia preghiera sale a Dio per la loro salvezza. Rendo infatti loro testimonianza che hanno zelo per Dio, ma non secondo una retta conoscenza; poiché, ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede. Mosè infatti descrive la giustizia che viene dalla legge così: L’uomo che la pratica vivrà per essa. Invece la giustizia che viene dalla fede parla così: Non dire nel tuo cuore: Chi salirà al cielo? Questo significa farne discendere Cristo; oppure: Chi discenderà nell’abisso? Questo significa far risalire Cristo dai morti. Che dice dunque? Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.

VANGELO (Mt. 8,28-9,1)

In quel tempo, giunto Gesù nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. Cominciarono a gridare: “Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?”. A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci a pascolare; e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: “Se ci scacci, mandaci in quella mandria”. Egli disse loro: “Andate!”. Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti. I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati. Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio. Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città.

Commento al Vangelo:
Nel mondo antico, sia giudaico che pagano, la malattia mentale (o quelle malattie che presentavano delle caratteristiche ripugnanti o che rimanevano inspiegabili) più che quella fisica veniva attribuita al possesso demoniaco. Ciò che preme all’evangelista in questo e altri esorcismi compiuti da Gesù è di dirci che Lui libera gli uomini dalla paura dei demoni. I demoni non hanno alcun potere reale e sono immediatamente soggiogati da una sua parola. La potenza di Dio supera ogni altra potenza. Il racconto è un esempio di un miracolo che non riesce a suscitare la fede, e i vangeli non fanno alcun commento sulle ragioni del fallimento.

6a SETTIMANA DI SAN MATTEO

28 – L – Traslazione delle reliquie dei santi taumaturghi e anàrgiri Ciro e Giovanni
Rom. 16,17-23 Mt. 13,10-23

29 – M – SS. PIETRO E PAOLO, APOSTOLO E PRIMI CORIFEI
2Cor. 11,21-12,9 Mt, 16,13-19

30 – M – Sinassi dei santi e gloriosi 12 apostoli degni di ogni lode
1Cor. 4,9-16 Mt. 9,36-10,8

1 – G – Ss. Cosma e Damiano, anàrgiri e taumaturghi martirizzati a Roma
1Cor. 12,27-13,8 Mt. 10,1.5-8


2 – V – Deposizione alle Blacherne della preziosa veste della Ss. Madre di Dio
Eb. 9,1-7 Lc. 1,39-49.56

3 – S – S. Giacinto martire – S. Anatolio arcivescovo di Costantinopoli
Rom. 9,1-5 Mt. 9,18-26

19 giugno 2010

20 GIUGNO 2010
IV Domenica di S. Matteo – S. Metodio ieromartire, vescovo di Patara
TROPARI

Della domenica: Effrenèstho ta urània, agalìastho ta epìghia, òte epiìse kràtos en vrachìoni aftù o Kìrios; epàtise to thanàto ton thànaton, protòtokos ton nekròn eghèneto; ek kilìas Adhu errìsato imàs ke parèsche to kòsmo to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Perivolìn pàsi pistìs aftharsìas, theocharìtote Aghnì, edhorìso, tin ieràn esthìta su, meth’is to ieròn sòma su eskèpasas, skèpi pàndon anthròpon; ìsper tin katàthesin eortàzomen pòtho, ke ekvoòmen fòvo si, semnì: chère Parthène, christianòn to kavchima.

EPISTOLA (Rom. 6,18-23)

Fratelli, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità a pro dell’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.

VANGELO (Mt. 8,5-13)

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”. Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò”. Ma il centurione riprese: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va: e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: “In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”. E Gesù disse al centurione: “Va’, e sia fatto secondo la tua fede”. In quell’istante il servo guarì.

Commento al Vangelo:
Il contenuto e l’insegnamento dell’episodio sono molteplici e profondi. Per due volte il centurione si rivolge a Gesù chiamandolo Signore. La scena del centurione è come un preludio della missione o dell’annunzio del vangelo ai pagani. Gesù approfitta dell’occasione per parlare del trasferimento del regno che dai giudei passerà ai gentili. Il popolo di Dio si costruisce sulla fede. Per l’evangelista, quindi, l’episodio è il segno di un’attesa di Dio più viva nel mondo pagano che nello stesso Israele. È una lezione che Gesù stesso si incarica di esplicitare: “In verità vi dico, non ho trovato tanta fede in Israele”. La fede, ad ogni modo, non si trova sempre dove te l’aspetti, non coincide con gli ambiti istituzionali.

5a SETTIMANA DI SAN MATTEO

21 – L – S. Giuliano di Tarso, martire
Rom. 12,4-5.15-21 Mt. 12,9-13

22 – M – S. Eusebio ieromartire, vescovo di Samosata
Rom. 14,9-18 Mt. 12,14-16.22-30

23 – M – S. Agrippina martire
Rom. 15,7-16 Mt. 12,38-45

24 – G – Natività del venerabile e glorioso profeta, precursore e battista Giovanni
Rom. 13,11-14,4 Lc. 1,1-25.57-68.76.80

25 – V – S. Febronia martire
Rom. 16,1-16 Mt. 13,3b-9

26 – S – S. Davide di Tessalonica
Rom. 8,14-21 Mt. 9,9-13

12 giugno 2010

13 GIUGNO 2010
III Domenica di S. Matteo – S. Aquilina martire – S. Trifillio, vescovo di Leucosia di Cipro

TROPARI

Della Domenica: Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Perivolìn pàsi pistìs aftharsìas, theocharìtote Aghnì, edhorìso, tin ieràn esthìta su, meth’is to ieròn sòma su eskèpasas, skèpi pàndon anthròpon; ìsper tin katàthesin eortàzomen pòtho, ke ekvoòmen fòvo si, semnì: chère Parthène, christianòn to kavchima.

EPISTOLA (Rom. 5,1-10)

Fratelli, giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo anche nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita.

VANGELO (Mt. 6,22-33)

Disse il Signore: “La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra! Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona. Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perchè vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.

4a SETTIMANA DI SAN MATTEO

14 – L – S. Eliseo profeta – S. Metodio il confessore, arcivescovo di Costantinopoli
Rom. 9,18-33 Mt. 11,2-15

15 – M – S. Amos profeta
Rom. 10,11-11,2a Mt. 11,16-20

16 – M – S. Ticone taumaturgo, vescovo di Amato di Cipro
Rom. 11,2-12 Mt. 11,20-26

17 – G – Ss. Manuele, Sabele e Ismaele, martiri
Rom. 11,13-24 Mt. 11,27-30

18 – V – S. Leonzio martire
Rom. 11,25-36 Mt. 12,1-8

19 – S – S. Giuda apostolo
Giuda 1,1-25 Gv. 14,21-24

Commento al Vangelo:
Matteo sembra concentrarsi su un interrogativo: come deve comportarsi il discepolo nei confronti dei beni del mondo? La risposta di Gesù è quanto mai lucida e attuale: il discepolo non deve cadere nella tentazione dell’affanno, dell’ansia, come se tutto dipendesse da sé stesso: “Non vi affannate per la vostra vita”. Al discepolo è richiesta la fiducia nell’amore del Padre. Questo non sottrae all’impegno, ma lo rende più sereno. L’ansia è l’atteggiamento dei pagani (“di tutto ciò si preoccupano i pagani”). Lavorare, ma non affannosamente: il cristiano è un uomo libero dall’angoscia del domani. Per essere veramente sereno il discepolo deve sapere che i beni del Regno sono al primo posto (“cercate anzitutto il Regno e la sua giustizia”). Ciò significa, ad esempio, che il benessere che andiamo cercando e nel quale poniamo fiducia deve essere “un benessere globale”: deve comprendere tutte le dimensioni dell’uomo e la ragione ultima del nostro vero benessere è Dio e il suo amore. Dunque, Matteo non invita solo alla serenità, ma anche a orientarsi diversamente nella vita: non più certi beni al primo posto, ma altri. Finché certi beni (i nostri idoli) rappresentano i valori supremi, l’ansia è inevitabile. Il mondo inganna e seduce: ci convince che solo nel possesso c’è sicurezza e gioia. E così ci rende schiavi, disposti a servirlo, e ci spoglia della nostra vera umanità, e ci ruba lo spazio della libertà. Sta in questa stoltezza l’origine dell’ansia, nella convinzione cioè che questi beni, siano gli unici importanti e che l’uomo trovi la sicurezza nell’accumulare sempre di più per se stesso. È una stoltezza che rende ciechi: l’ansia di possedere disorienta e appesantisce il cuore, e soprattutto delude. Matteo parla di beni che vengono distrutti dalle tarme e dalla ruggine, e che i ladri rubano. E alla luce di tutto questo possiamo ora comprendere tutta la profonda verità dell’affermazione: “Non potete servire a due padroni: a Dio e al denaro”. L’attaccamento al denaro è idolatria: l’uomo, cioè, non sentendosi sicuro all’ombra della promessa di Dio, pone la propria sicurezza nel denaro, illudendosi poi di avere la fede perché offre al Signore le briciole delle proprie ingiuste ricchezze. Ma questo peccato di idolatria non è soltanto contro Dio, ma ancor prima è contro l’uomo: è affanno, divisione e schiavitù. Le parole di Gesù non si limitano a invitare alla serenità, e neppure si accontentano di disincantare l’uomo, liberandolo dal fascino illusorio del possesso, ma indicano la vera via della liberazione: “Ammassate tesori in cielo, dove né tignola né ruggine distruggono e dove i ladri non rubano”. L’importante è capire che i tesori nel cielo, non sono i “meriti”, ma la carità. È appunto questo di cui ci parla Matteo: “Tutto quello che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”.

5 giugno 2010

06 GIUGNO 2010
II Domenica di S. Matteo – S. Bessarione il taumaturgo – S. Ilarione il giovane, igumeno del monastero di Dalmazio

TROPARI

Della Domenica: Tu lìthu sfraghisthèndos ipò tòn Iudhèon ke stratiotòn filassònton tòn achrandòn su soma, anèstis triìmeros, Sotìr, dhorùmenos to kosmo tin zoìn; dhià tùto e dhinàmis tòn uranòn evòon si, Zoodhòta: Dhòxa ti anastàsi su, Christè; dhòxa ti vasilìa su; dhòxa tì ikonomìa su, mòne filànthrope.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Tin en presvìes akìmiton Theotòkon ke prostasìes ametàtheton elpìdha, tàfos ke nèkrosis uk ekràtisen; os gar zoìs Mitèra pros tin zoìn metèstisen o mìtran ikìsas aipàrthenon.

EPISTOLA (Rom. 2,10-16)

Fratelli, gloria e onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco, perché presso Dio non c’è parzialità. Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati. Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo.

VANGELO (Mt. 4,18-23)

In quel tempo mentre Gesù camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono. Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

3a SETTIMANA DI SAN MATTEO

7 – L – S. Teodoto di Ancira, ieromartire
Rom. 7,1-13 Mt. 9,36-10,8

8 – M – Traslazione delle reliquie del santo megalomartire Teodoro Stratilata
Rom. 7,14-8,2 Mt. 10,9-15

9 – M – S. Cirillo, arcivescovo di Alessandria
Eb. 7,26-8,2 Mt. 5,14-19

10 – G – Ss. Alessandro e Antonina, martiri – S. Timoteo ieromartire, vescovo di Prusa
Rom. 8,22-27 Mt. 10,23-31

11 – V – Ss. Bartolomeo e Barnaba, apostoli
Giornata Mondiale per la Santificazione Sacerdotale
Atti 11,19-30 Lc. 10,16-21

12 – S – Ss. Onofrio e Pietro dell’Athos
Rom. 3,28-4,3 Mt. 7,24-8,4

Commento al Vangelo:
Sulle rive del “mare di Galilea” (il lago) Gesù incontra e chiama i primi discepoli. Sono una coppia di fratelli, tutti pescatori (Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni) intenti al loro lavoro. L’appello di Dio raggiunge gli uomini nel loro ambiente ordinario, nel loro posto di lavoro. Nessuna cornice “sacra” per la chiamata dei primi discepoli, ma lo scenario del lago e lo sfondo della dura vita quotidiana. Nel racconto emergono due tratti: la condivisione (il discepolo è chiamato a condividere la via del Maestro: “Seguimi”) e il distacco (drastico e immediato: “e subito lasciarono le reti”). Nessun indugio per il discepolo di Gesù e nessun rito di addio, ma “subito”. Ma i tratti essenziali – che già definiscono compiutamente la figura del discepolo (il resto del Vangelo non farà altro che precisarla) – sono quattro.
Primo: la centralità di Gesù. Sua è l’iniziativa (vide, disse loro, li chiamò): non è l’uomo che si proclama autonomamente discepolo, ma è Gesù che trasforma l’uomo in un discepolo. E ancora: il discepolo non è chiamato a impossessarsi di una dottrina, ma a solidarizzare con una persona (“seguitemi”). Al primo posto l’attaccamento alla persona di Gesù, tanto è vero che il discepolo evangelico non intraprende un tirocinio per divenire a sua volta un maestro: egli rimane sempre un discepolo, perché uno solo è il Maestro.
Secondo: la sequela di Gesù esige un profondo distacco. La chiamata di Pietro e Andrea e la chiamata di Giacomo e Giovanni sono costruite secondo la medesima struttura e sostanzialmente secondo lo stesso vocabolario. C’è però una differenza non trascurabile: nel primo racconto si dice che lasciarono “le reti” e nel secondo che lasciarono “la barca e il padre”. C’è dunque un crescendo: dal mestiere alla famiglia. Il mestiere rappresenta la sicurezza e l’identità sociale. Il padre rappresenta le proprie radici.
Terzo: la sequela è un cammino. A partire dall’appello di Gesù, essa si esprime con due movimenti (lasciare e seguire) che indicano uno spostamento del centro della vita. L’appello di Gesù non colloca il discepolo in un luogo, ma lo pone in cammino.
Quarto: la sequela è missione. Due sono le coordinate del discepolo: la comunione con Cristo (“seguitemi”) e la corsa verso il mondo (“vi farò pescatori di uomini”). La seconda nasce dalla prima. Gesù non colloca i suoi discepoli in uno spazio separato dagli altri, ma li incammina sulle strade degli uomini.

29 maggio 2010

30 MAGGIO 2010
DOMENICA DI TUTTI I SANTI

TROPARI

Della Domenica: Ex ìpsus katìlthes o Efsplachnos, tafìn katedhèxo triìmeron, ìna imàs elefthèrosis ton pathòn: I zoì ke i Anàstasis imòn, Kìrie, dhòxa si.

Di tutti i Santi: Ton en òlo to kòsmo Martìron su, os porfìran ke vìsson, ta èmata i Ekklisìa su stolisamèni. Dhi’aftòn voà si, Christè o Theòs. To laò su tus iktirmùs su katàpempson, irìnin ti politìa su dhòrise, ke tes psichès imòn to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir i-pàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Os aparchàs tis fìseos to fiturgò tis ktìseos i ikumèni prosfèri si, Kìrie, tus theofòrus màrtiras. Tes aftòn ikesìes, en irìni vathìa, tin Ekklisìan su, tin politìan su dhià tis Theotòku sindìrison, polièlee.

EPISTOLA (Eb. 11,33-12,2)

Fratelli, tutti i Santi per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi. Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede.

VANGELO (Mt. 10,32-33.37-38.19,27-30)

Disse il Signore ai suoi Discepoli: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”. Allora Pietro prendendo la parola disse: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?”. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”.

KINONIKON

Agalliàsthe dhìkei en Kirìo tis evthèsi prèpi ènesis. Allilùia.

OPISTHAMVONOS

Tu ti glorifichi nelle volontà dei tuoi Santi, o Cristo Dio nostro, letizia degli Apostoli, gioia dei Profeti, costanza dei martiri, gaudio dei Santi e corona della tua Madre! Signore donaci la tua pace: guida e proteggi la nostra vita, affinché con la misericordia della tua bontà possiamo imitare i loro combattimenti e, resi a te accetti, conseguire a loro la futura beatitudine. Poiché tu sei la nostra santificazione, e noi rendiamo gloria a Te, Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli.

22 maggio 2010

23 MAGGIO 2010
DOMENICA DELLA SANTA PENTECOSTE



PRIMA ANTIFONA

I uranì dhiìgunde dhòxan Theù, pìisin dhe chiròn aftù ananghèli to sterèoma.

SECONDA ANTIFONA

Epakùse su Kìrios en imèra thlìpseos, iperaspìse su to ònoma tu Theù Iakòv.

Sòson imàs, Paràklite agathè, psàllondàs si. Alliluia.

TERZA ANTIFONA

Kìrie, en ti dhinàmi su evfranthìsete o Vasilèvs, ke epì to sotirìo su agalliàsete sfòdhra.

Evloghitòs i, Christè o Theòs imòn, o pansòfus tus aliìs anadhìxas, katapèmpsas aftìs to Pnèvma to Aghion, ke dhi’aftòn tin ikumènin saghinèvsas; Filànthrope, dhòxa si.

ISODHIKON

Ipsòthiti Kìrie en ti dhinàmi su; àsome ke psalùmen tas dhinastìas su.

Sòson imàs, Paràklite agathè, psàllondàs si: Allilùia.

TROPARI

Evloghitòs i, Christè…

Ote katavàs tas glòssas sinèchee, dhiemèrisen èthni, o Ipsistos; òte tu piròs tas glòssas dhièminen, is enòtita pàndas ekàlese; ke simfònos dhoxàzomen to panàghion Pnèvma.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allilùia.

EPISTOLA (Atti 2,1-11)

Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: “Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti, e abitanti della Mesopotàmia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”.

VANGELO (Gv. 7,37-52.8,12)

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato. All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: “Questi è davvero il profeta!”. Altri dicevano: “Questi è il Cristo!”. Altri invece dicevano: “Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?”. E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui. Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso. Le guardie tornarono quindi dai sommi sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: “Perché non lo avete condotto?”. Risposero le guardie: “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!”. Ma i farisei replicarono loro: “Forse vi siete lasciati ingannare anche voi? Forse gli ha creduto qualcuno fra i capi, o fra i farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!”. Disse allora Nicodèmo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero: “Sei forse anche tu della Galilea? Studia e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea”. Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.

MEGALINARIO

Mi tis fthoràs dhiapìra kioforìsasan, ke pantechnìmoni Lògo sàrka dhanìsasan, Mìter apìrandhre, Parthène Theotòke, dhochìon tu astèktu, chorìon tu apìru, Plasturgù su, se megalìnomen.

KINONIKON

To pnèvma su to agathòn odhighìsi me en ghi evthìa. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Evloghitòs i, Christè…

OPISTHAMVONOS

O tin sin anàvasin, metà to pàthos ke tin Anàstasin, is uranùs ikonomìsas us èklinas pros to dhi’imàs ek Parthènu sarkothìne ke katavàs, Christè, tin sin epanghelìan epì ghis themeliòsas ti tu Paraklìtu su Pnèvmatos epifitìsi epì tus ghiìnus su mathitàs; edhrèan dhi ke panaghìan en aftìs katamonìn ke dhi’aftòn is se pistèfsasi vevèa endhimìa, ke tis pikìlis aftù charìsmasi tin Ekklisìan ipostirìzon, mi andanèlis tin aftù chàrin af’imòn, os ipò tis amartìas vevilothèndon, allà nèkroson pan sarkikòn enipàrchon en imìn frònima, to kolìon tin en imìn aftù parusìan, pàsan ènnian, laliàn te ke pràxin lipùsan aftò apodhìoxon af’imòn, ke pan miaròn pàthos enochlùn ke skotinàs apotelùn imòn tas psichàs ti sterìsi tu fotòs aftù; pìison imàs katharà dhochìa tis aftù dhòxis, mimumènus to tis Siòn iperòon, plirothèn aftù tis lambròtitos; thrònus imàs anàdhixon tu noerù piròs aftù afomiumènus tis tin aparchìn aftù dhexamènis Apostòlis su; òpos, ip’aftù stirizòmeni, odhighithòmen is tin efthìan ghin tis athanàtu su ke makarìas epanghelìas; èntha pàndon effrenomènon i katikìa en si, ke dhiinekòs se dhoxazòndon; iperèndhoxos gar ipàrchis àma to sinanàrcho su Patrì, ke to sinaidhìo ke panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

APOLISIS

O en ìdhi pirìnon glòssan uranòthen katapèmpsas to panàghion Pnèvma epì tus aghìus aftù Mathitàs ke Apostòlus, Christòs…

Commento al Vangelo:
Nel settimo e ultimo giorno della festa delle Capanne, al momento in cui i sacerdoti attingevano acqua alla fonte di Siloe e la portavano processionalmente al tempio, Gesù fa una solenne proclamazione pubblica, dichiarando di essere la vera sorgente di acqua viva a cui possono dissetarsi i credenti in lui, fondando le sue parole su passi biblici non specificati. L’evangelista aggiunge il suo commento alla luce della glorificazione pasquale e afferma che l’acqua viva effusa da Cristo è lo Spirito Santo. La folla reagisce continuando il dibattito sulla vera identità di Gesù: è il profeta per eccellenza o lo stesso Messia (“Cristo”)? C’è, però, una difficoltà di fondo: Gesù proviene dalla Galilea e non da Betlemme, la patria di Davide. Le autorità giudaiche non hanno esitazioni: Gesù è troppo pericoloso e deve essere arrestato. Ma le guardie rimangono anch’esse conquistate dalle parole di Gesù, suscitando un aspro rimprovero da parte dei loro mandanti. Ma ecco entrare di nuovo sulla ribalta Nicodemo, che protesta sul metodo repressivo seguito dai suoi colleghi. Essi gli replicano ritornando sulla questione delle origini del messia, che non può provenire dalla Galilea, come accade a Gesù.

15 maggio 2010

16 MAGGIO 2010
DOMENICA SETTIMA DOPO PASQUA – DEI SANTI PADRI DEL I CONCILIO DI NICEA

PRIMA ANTIFONA

Pànda ta èthni, krotìsate chìras; alalàxate to Theò imòn en fonì agalliàseos.

SECONDA ANTIFONA

Mègas Kìrios, ke enetòs sfòdhra en pòli tu Theù imòn, en òri aghìo aftù.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en dhòxi analifthìs af’imòn is tus uranùs, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Akùsate tàfta, pànda ta èthni; enotìsasthe, pàndes ikatikùndes tin ikumènin.

Anelìfthis en dhòxi, Christè o Theòs imòn, charopiìsas tus mathitàs ti epanghelìa tu Aghìu Pnèvmatos, veveothèndon aftòn dhià tis evloghìas, òti si i o Iiòs tu Theù, o Litrotìs tu kòsmu.

ISODHIKON

Anèvi o Theòs en alalagmò, Kìrios en fonì sàlpingos.

Sòson imàs, Iiè Theù, o en dhòxi analifthìs af’imòn is tus uranùs, psàllondàs si: Allilùia.

TROPARI

Della Domenica: Anghelikè Dhinàmis epì to mnìma su, ke i filàssondes apenekròtisan; ke ìstato Marìa en to tàfo zitùsa to àchrandòn su sòma. Eskìlefsas ton Adhin mi pirasthìs ip’aftù, ipìndisas ti Parthèno, dhorùmenos tin zoìn. O anastàs ek ton nekròn, Kìrie, dhòxa si.

Della festa: Anelìfthis en dhòxi…

Dei Ss. Padri: Iperdhedhoxasmènos i, Christè o Theòs imòn, o fostìras epi ghis tus Patèras imòn themeliòsas, ke dhi’aftòn pros tin alithinìn pìstin pàndas imàs odhighìsas, polièvsplaghne, dhòxa si.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Tin ipèr imòn pliròsas ikonomìan, ke ta epì ghis enòsas tis uranìis, anelìfthis en dhòxi, Christè o Theòs imòn, udhamòthen chorizòmenos, allà menòn adhiàstatos, ke voòn tis agapòsi se; egò imì meth’imòn, ke udhìs kath’imòn.

EPISTOLA (Atti 20,16-18.28-36)

In quei giorni, Paolo aveva deciso di passare al largo di Èfeso per evitare di subire ritardi nella provincia d’Asia: gli premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste. Da Mileto mandò a chiamare subito ad Èfeso gli anziani della Chiesa. Quando essi giunsero disse loro: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati. Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!”. Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò.

VANGELO (Gv. 17,1-13)

In quel tempo così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo disse: “Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia”.

MEGALINARIO

Se tin ipèr nun ke lògon mitèra Theù tin en chròno ton àchronon afràstos kiìsasan i pìsti omofrònos megalìnomen.

KINONIKON

Anèvi o Theòs en alalagmò, Kìrios en fonì sàlpingos. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Anelìfthis en dhòxi…

APOLISIS

O anastàs ek nekròn ke en dhòxi analifthìs af’imòn is tus uranùs, ke en dhexià kathìsas tu Theù ke Patròs…

Commento al Vangelo:
Questa parte è definita preghiera “sacerdotale” dalla tradizione, perché Gesù sembra intercedere presso il Padre come un grande sacerdote che si offre come vittima in favore di quelli che Dio gli ha affidato, ma anche perché oggetto della sua preghiera sono i discepoli “consacrati” dalla sua parola.
Si nota subito in questa preghiera di Gesù il verbo “glorificare”: Gesù va incontro all’“ora” per eccellenza (cioè alla croce) che conclude la sua vita terrena, non per approdare alla morte, ma per superarla e accedere alla luce della divinità e dell’eternità. Quindi questa “ora” giunge per la “gloria”, e il Figlio ha glorificato il Padre su questa terra facendo conoscere il suo nome agli uomini attraverso le sue parole e le sue azioni. Il Padre, a sua volta, con la risurrezione glorificherà Gesù con il suo ritorno a quella gloria che egli possedeva fin da tutta l’eternità nel suo stato di pre-incarnazione. Colui che accoglie questa gloria di Dio presente in Gesù crocifisso riceve la vita eterna, vale a dire entra nell’intimità (nella “conoscenza”) del vero Dio e di suo Figlio Gesù Cristo.