31 dicembre 2009

01 GENNAIO
Circoncisione secondo la carne del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo – S. Basilio il Grande


PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kirìo, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

Effrenèsthosan i uranì, ke agalliàstho i ghi, salefthìto i thàlassa, ke to plìroma aftìs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o sarkì peritmithìs, psàllondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Ta elèi su, Kìrie, is ton eòna àsome.

Morfìn analliòtos anthropìnin prosèlaves, Theòs on kat’usìan, polièfsplachne Kìrie; ke Nòmon ekplìròn, peritomìn thelìsi katadhèchi sarkikìn, òpos pàfsis ta skiòdhi, ke perièlis to kàlimma ton pathòn imòn. Dhòxa ti agathòtiti ti si; dhòxa ti efsplachnìa su; dhòxa ti anekfràsto, Lòghe, sinkatavàsi su.

TROPARI

Della festa: Morfìn analliòtos…

Del Santo: Is pàsan tin ghin exìlthen o fthòngos su, os dhexamènin ton lògon su; dhi’ù theoprepòs edhogmàtisas; tin fìsin ton òndon etrànosas, ta ton anthròpon ìthi katekòsmisas, Vasìlion ieràtevma, Pàter òsie, Christòn ton Theòn ikèteve dhorìsasthe imìn to mèga èleos.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: O ton òlon Kìrios peritomìn ipomèni, ke vrotòn ta ptèsmata os agathòs dhiatèmni, dhìdhosi tin sotirìan sìmeron kòsmo; chèri dhe en tis ipsìstis ke o tu Ktìstu Ieràrchis ke fosfòros, o thìos mìstis Christù Vasìlios.

EPISTOLA (Col. 2,8-12)

Fratelli, badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà. In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.

VANGELO (Lc. 2,20-21.40-52)

In quel tempo i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu, tòn fostìra tòn fainòn, tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes timìsomen.

KINONIKON

Enìte ton Kìrion ek ton uranòn, enìte aftòn en tis ipsìstis. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Morfìn analliòtos …

APOLISIS

O en ti ogdhòi imèra sarkì peritmithìne katadhexàmenos, dhià tin imòn sotirìan…

Commento al Vangelo:

Gesù ha dodici anni, l'età in cui, secondo tradizioni giudaiche che risalgono al primo secolo, Samuele cominciò a profetizzare e Daniele pronunciò una sentenza molto saggia. Un'età tuttavia in cui questi giovinetti non sono ancora maggiorenni: la loro sapienza viene quindi posta in maggiore risalto. È dunque, in senso stretto, l'unico racconto dell'infanzia che segna il passaggio tra il racconto delle origini e quello dell'inizio del ministero. La scena è collegata alla precedente: per la seconda volta, Gesù è nel tempio e, là dove si era manifestato grazie al cantico e all'oracolo profetico di Simeone, rivela ora la sua sapienza ai dottori della legge e la sua relazione con il suo Padre celeste ai suoi genitori. Allo stesso tempo questa prima salita di Gesù a Gerusalemme per la Pasqua annuncia il grande viaggio e l'ultimo insegnamento nel tempio. La legge ebraica prescriveva il pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione delle tre feste più importanti: Pasqua, Pentecoste (o Festa delle Settimane) e Festa delle Capanne, ma l'usanza dispensava coloro che vivevano molto distanti dalla città, fatta eccezione della festa di Pasqua, che aveva un'ottava. Il centro della scena è costituito da due quadri di differente portata. Il primo mostra la sapienza di Gesù, che è la capacità di conoscere la volontà di Dio rivelata nelle Scritture e di conformarsi ad essa. La manifestazione di questa sapienza provoca, nel pubblico, uno stupore identico a quello che provocheranno più avanti alcuni avvenimenti miracolosi e, nei genitori di Gesù, una meraviglia che ritroveremo in coloro che ascolteranno il suo insegnamento nella sinagoga di Cafarnao. Il secondo quadro costituisce il culmine del racconto. Al rammarico di Maria, Gesù risponde con una duplice domanda che è allo stesso tempo un rimprovero. È la madre che parla (Giuseppe tace sempre) e Luca non prova nessun imbarazzo a farle indicare il suo sposo chiamandolo "tuo padre", perché nella replica Gesù parlerà di un altro Padre, quello celeste. A Maria che parlava dei "doveri filiali" pensando al quinto comandamento (Es 20,12), Gesù risponde rimandando al primo: il dovere verso Dio (Es 20,3-6), egli è il figlio obbediente del suo Padre celeste. Così sia le prime che le ultime parole di Gesù prima di spirare (23,46) ricordano suo Padre. In questa risposta di Gesù, risuona il verbo "devo", che lo troveremo in altri nove casi, ciò dimostra che la missione di Gesù e soprattutto la sua passione-resurrezione rientrano nel piano divino della salvezza che egli si assume. Di fronte all'espressione "devo", non vi è da stupirsi che Maria e Giuseppe "non compresero ciò che aveva detto loro"; entrambi prefigurano i discepoli che, ad esempio dopo il terzo annuncio della passione "non capirono". Ma si obietterà: come può Luca mettere in scena una Maria che non comprende nulla di quanto Gesù dice, mentre essa ha ricevuto tante rivelazioni - da Gabriele, dai pastori, da Simeone - sulla condizione eccezionale del suo bambino e le ha meditate "nel suo cuore"? Maria ha sentito dire che egli è Messia e Figlio di Dio: ma comprende veramente che cosa significa ciò? Lei certamente ignora in che modo questi titoli si realizzeranno. Una duplice conclusione e due ritornelli chiudono l'episodio. Luca rileva anzitutto l'incapacità di comprendere dei genitori, poi mostra Gesù, rientrato a Nazaret, che torna a una scrupolosa osservanza della pietà filiale in conformità alla legge. Segue allora il ritornello del “ricordare” di Maria: ella continua la sua riflessione nel mistero che si concluderà, come per i discepoli, solo dopo la luce pasquale. Quanto al ritornello della crescita, Luca pone l'accento sulla sua condizione connaturale: egli crebbe come un qualsiasi altro ragazzo naturale: di età e grazia. Grazia indica amabilità nei confronti di Dio e degli uomini che include non soltanto la santità ma anche la gentilezza, il tatto, il fascino. Gesù crebbe sotto ogni aspetto - fisico, intellettuale, emotivo, spirituale - per la grande opera che l'aspettava. Un ultimo rilievo: la menzione del ritorno a Nazaret impedisce che il "ciclo dell'infanzia" si chiuda nel tempio, dov'era iniziato. Infatti dopo un percorso assai lungo Gesù tornerà di nuovo a Gerusalemme.

26 dicembre 2009

27 DICEMBRE 2009

Domenica dopo il Natale
Ss. Giuseppe, sposo della Vergine, Davide re e Giacomo fratello di Dio
S. Stefano protomartire e arcidiacono

PRIMA ANTIFONA

Exomologhìsomè si, Kìrie, en òli kardhìa mu, dhiighìsome pànda ta thavmasià su.

SECONDA ANTIFONA

Makàrios anìr o fovùmenos ton Kìrion; en tes endolès aftù thelìsi sfòdhra.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu techthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Ipen o Kìrios to Kirìo mu: kàthu ek dhexiòn mu èos anthò tus echthrùs su ipopòdhion ton podhòn su.

I Ghènnisis su, Christè o Theòs imòn, anètile to kòsmo to fos to tis gnòseos; en aftì gar i tis àstris latrèvontes ipò astèros edhidhàskondo se proskinìn ton Ilion tis dhikeosìnis, ke se ghinòskin ex ìpsus Anatolìn, Kìrie, dhòxa si.

ISODHIKON

Ek gastròs pro Eosfòru eghennisà se; òmose Kìrios, ke u metamelithìsete: Si i Ierèfs is ton eòna, katà tìn tàxin Melchisedhèk.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu techthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TROPARI

Della Domenica: Ton sinànarchon Lògon Patrì ke Pnèvmati, ton ek Parthènu techthènda is sotirìan imon, animnìsomen pistì ke proskinìsomen; òti ivdhòkise sarkì, anelthìn en to stavrò, ke thànaton ipomìne, ke eghìre tus tethneòtas, en ti endhòxo Anastàsi aftù.

Della festa: I Ghènnisìs su …

Dei Santi: Evanghelìzu, Iosìf, to Davìd ta thàvmata to Theopàtori. Parthènon ìdhes kioforìsasan, metà pimènon edhoxològhisas, metà ton màgon prosekìnisas, dhi’Anghèlu chrimatisthìs. Ikèteve Christòn ton Theòn sothìne tas psichàs imòn.

Di S. Stefano: Vasìlion dhiàdhima estèfthi si korifì, ex àthlon on ipèminas ipèr Christù tu Theù, Martìron protòathle: si gar tin Iudhèon apèlenxas manìan, ìdhès su ton Sotìra tu Patròs dhexiòthen. Aftòn un ekdhisòpi aì ipèr ton psichòn imòn.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I Parthènos simeron ton iperùsion tìkti, ke i ghi to spìleon to aprosìto prosàghi. Àngheli metà pimènon dhoxologùsi; Màghi dhe metà astèros odhiporùsi: dhi’imàs gar eghennìthi Pedhìon nèon, o pro eònon Theòs.

TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA (Atti 6,8-7,5.47-60)

In quei giorni, Stefano pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei “liberti” comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia, a disputare con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. Perciò sobillarono alcuni che dissero: “Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio”. E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: “Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè”. E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo. Gli disse allora il sommo sacerdote: “Queste cose stanno proprio così?”. Ed egli rispose: “Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era ancora in Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran, e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e va’ nella terra che io ti indicherò. Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte del padre, Dio lo fece emigrare in questo paese dove voi ora abitate, ma non gli diede alcuna proprietà in esso, neppure quanto l’orma di un piede. Salomone poi gli edificò una casa. Ma l’Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il Profeta: Il cielo è il mio trono e la terra sgabello per i miei piedi. Quale casa potrete edificarmi, dice il Signore, o quale sarà il luogo del mio riposo? Non forse la mia mano ha creato tutte queste cose?O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata”. All’udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma, Stefano, pieno di Spirito santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. Poi piegò le ginocchia e gridò forte: “Signore, non imputar loro questo peccato”. Detto questo, morì.

VANGELO (Mt. 2,13-23)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio. Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più. Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua ma-dre, ed entrò nel paese d’Israele. Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

KINONIKON

Lìtrosin apèstile Kìrios to laò aftù. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” si canta:

I Ghènnisìs su…

Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

Commento al Vangelo:

Anche la fuga in Egitto, che poteva essere solo un rifugio temporaneo verso le vicine frontiere meridionali, è letta alla luce di un passo di Osea: “Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. Questo testo si riferisce alla liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto. Per Osea, la vera storia di Israele comincia con l’uscita dall’Egitto, e Gesù è presentato da Matteo come colui che attua di nuovo nella sua vita le fasi storiche d’Israele, egli è infatti il nuovo Israele. La strage dei bambini di Betlemme corrisponde alle numerose uccisioni che hanno accompagnato il regno di Erode, particolarmente sensibile alla tutela del suo potere e attento a ogni notizia di eventuali pretese o usurpazioni. Ma l’evangelista citando Geremia, mostra che anche attorno a Gesù si sta attuando una vicenda di morte e di vita, così come era accaduto nella storia di Rachele, considerata come la madre di Israele che piange le vittime del suo popolo. Geremia è citato per l’evidente parallelismo fra il pianto di Rachele e il pianto delle madri, ma se leggiamo tutto il contesto, Geremia non parla di pianto, ma di consolazione: la salvezza è vicina, il Signore è tornato a liberare e a salvare il suo popolo. È la sorprendente storia di Gesù: cercato dai Magi e rifiutato da Erode, egli è in cammino verso la croce, che non è la sua fine ma il suo trionfo. È un altro aspetto del mistero di Cristo: la potenza è nascosta nella debolezza. Con questo racconto si chiude il Vangelo dell’infanzia. Matteo, fedele al suo pro-gramma narrativo, già chiarito con la genealogia, che aveva lo scopo di dimostrare che Gesù appartiene al popolo della promessa di Abramo e alla stirpe promessa di Davide, l’evangelista ci presenta il ruolo fondamentale ricoperto da Giuseppe: egli funge da vero custode della Santa Famiglia, ponendo la propria esperienza e disponibilità al servizio del piano divino, che gli fu rivelato di volta in volta attraverso il sogno. Giuseppe, sull’esempio del grande patriarca Abramo, custodisce il figlio della promessa, il figlio amatissimo, anche se non suo. È un’esperienza che lo rende a tutti gli effetti modello per la paternità umana, fatta di lavoro e di semplicità, di affetto e di dedizione, di rispetto e di silenzio, di fede e d’abbandono al Signore.

23 dicembre 2009

25 DICEMBRE

NATIVITÀ SECONDO LA CARNE DEL SIGNORE, DIO E SALVATORE NOSTRO GESU’ CRISTO

L'uomo, plasmato dalle mani del Signore, immagine della Sua gloria, fu posto in un luogo conveniente all'immagine del Re: il Paradiso. Questo essere fu, ben presto, oggetto d'invidia per la sua bellezza e per la sua felicità; venne tratto in inganno e cadde nella rete della malvagità, che gli era stata tesa. Affiorò, allora, in lui tutta la somiglianza con gli animali. Sentita la voce del Signore, per la prima volta, si nascose operando in tal modo egli stesso il deserto nel paradiso. Il Signore, profondamente turbato, non sopportò che l'immagine della Sua Maestà potesse rimanere per sempre corrotta e fece sentire subito la Sua voce: "dove sei?". Questa voce è stata poi diffusa tramite innumerevoli echi in tutti i luoghi e in tutti i tempi, ma l'uomo non rispose. Allora il Signore mise in opera il meraviglioso piano della salvezza. Sceso dal cielo, dal trono della Sua gloria, prese dimora nella Sua immagine e assunse l'aspetto di servo per poter rigenerare l'immagine distrutta, ridipingere la primitiva figura. Si è avuta così la nuova creazione in Cristo e la rigenerazione della stirpe umana: l'uomo creato a immagine del Signore è di nuovo stabilito nella primitiva bellezza. Gregorio Nazianzeno, che ebbe il soprannome di Teologo, parlando sul mistero della Natività ebbe a dire: !Il Signore si mette una seconda volta in comunione con l'uomo, e in comunione molto più straordinaria della prima, in quanto la prima volta Egli mi fece partecipare alla natura migliore, ora invece è Lui che partecipa all'emento peggiore. Questo fatto è più sublime dell'altro, per coloro che hanno senno". L'icona della Natività del Signore rappresenta una tessera del mirabile piano salvifico: l'espressione più grande del suo amore per noi, l'unione escatologica del celeste e del terrestre: guardiamo il Verbo posto per noi in una mangiatoia e lo consideriamo alla destra del Padre, lo vediamo nelle braccia della madre e lo crediamo nel seno del Padre. Lo vediamo in questa icona e cogliamo quelle verità che moltio profeti e re desiderarono vedere e non videro: il Creatore, che si è fatto uomo come noi, è venuto nella creazione senza umiliazione nè degradazione per glorificare la nostra natura e renderci partecipi di quella divina. Per poter gustare queste meraviglie è, tuttavia, opportuno conoscere e capire. Prendendo in prestito da un grande omileta le parole: ti chiedo, caro Lettore, di farmi dono della tua mente pia, scevra da ogni sollecitudine mandana e materiale, pura come una tavola preparata per essere dipinta, e io vi traccerò la meravigliosa immagine della Natività, affinchè tu possa cmprendere la profondità del messaggio e il mistero, e insieme possiamo rendere gloria al Signore. Una delle prime notizie sulla festa della Natività del Signore risale al IV secolo; in tale epoca la festività è congiunta alla celebrazione della Epifania (Battesimo del Signore), cioè il 6 gennaio si commemora insieme la nascita, l'adorazione dei Magi e il battesimo di Cristo. Una tale concomitanza era più che naturale perché nella Sua nascita il Figlio di Dio era apparso in modo nascosto, mentre nel battesimo in modo perfetto: Egli fu rivelato alle genti mediante le parole del Padre, "Tu sei mio Figlio diletto" e la discesa dello Spirito in forma di colomba. Le cause del successivo sdoppiamento delle feste del Natale e dell'Epifania vanno ricercate nell'esigenza della Chiesa di far fronte agli insegnamenti degli eretici gnostici, doceti e ariani. Era opportuno, infatti, sottolineare tanto la vera umanità che la vera divinità nel Cristo sin dalla sua nascita.

(tratto da Gaetano Passarelli, L'ICONA DEL NATALE, La Casa di Matriona Milano 1989)


PRIMA ANTIFONA

Exomologhìsomè si, Kìrie, en òli kardhìa mu, dhiighìsome pànda ta thavmasià su.

SECONDA ANTIFONA

Makàrios anìr o fovùmenos ton Kìrion; en tes endolès aftù thelìsi sfòdhra.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu techthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Ipen o Kìrios to Kirìo mu: kàthu ek dhexiòn mu èos anthò tus echthrùs su ipopòdhion ton podhòn su.

I Ghènnisis su, Christè o Theòs imòn, anètile to kòsmo to fos to tis gnòseos; en aftì gar i tis àstris latrèvontes ipò astèros edhidhàskondo se proskinìn ton Ilion tis dhikeosìnis, ke se ghinòskin ex ìpsus Anatolìn, Kìrie, dhòxa si.

ISODHIKON

Ek gastròs pro Eosfòru eghennisà se; òmose Kìrios, ke u metamelithìsete: Si i Ierèfs is ton eòna, katà tìn tàxin Melchisedhèk.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu techthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TROPARI

I Ghènnisìs su…

I Parthènos simeron ton iperùsion tìkti, ke i ghi to spìleon to aprosìto prosàghi. Àngheli metà pimènon dhoxologùsi; Màghi dhe metà astèros odhiporùsi: dhi’imàs gar eghennìthi Pedhìon nèon, o pro eònon Theòs.


TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA
(Gal. 4,4-7)

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.

VANGELO (Mt. 2,1-12)

Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perchè così è scritto per mezzo del profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele"
. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perchè anch'io venga ad adorarlo". Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non andare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

KINONIKON

Lìtrosin apèstile Kìrios to laò aftù. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” si canta:

I Ghènnisìs su…

OPISTHAMVONOS

Christè o Theòs imòn, o pro pàndon ton eònon apathòs ex anàrchu Patròs eklàmpsas, ep’eschàtis dhe kerìs ek Parthènu aghìas sarkothìs ke ghennithìs; o dhi imàs ptochèfsas, ìna ti si ptochìa plutìsomen; o en spargànis ilichthìs os vrèfos ke en fàtni anaklithìs theikòs. Dhèspota, o pànda perièpon, aftòs pròsdexe imòn tas eftelìs enèsis ke dheìsis, òsper tin ton pimènon ènesin ke tin ton màgon metà dhòron proskìnisin ke sinchoreftàs imàs ghenèsthe kataxìoson tis uranìu stratiàs, ke klironòmus anadhichthìne agalliàseos uranìu tis itimasmènis tis axìos eortazusì su tin Ghènnisin, ke tis pistìs àrchusi ìkas dhòrise; òti filànthropos i ke dhedoxasmènos sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin, ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

Al posto di “Ìi to ònoma…” si canta:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

APOLISIS

O en spilèo ghennithìs ke en fàtni anaklithìs, dhìa tin imòn sotirìan, Christòs o alithinòs…

Commento al Vangelo:

Il racconto dei Magi illustra il tema del Cristo cercato e rifiutato: il Messia è il segno di contraddizione. L’arrivo dei Magi, guidati dalla stella, che li conduce a Betlemme, è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi o alla parabola della grande cena, ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio. Abbiamo parlato di sorpresa, ma questo non significa novità nel comportamento di Dio, tanto meno rottura nel suo modo di condurre la storia. Al contrario: Dio non fa che applicare anche in questo caso, come sempre, il principio dell’accoglienza della Parola, che è un criterio decisivo: è l’accoglienza della Parola (con la disponibilità alla conversione), che distingue chi appartiene al regno e chi no. Ma in questo episodio non c’è solo il significato di Cristo, ma anche quello della Chiesa. La pagina dei Magi è una solenne dichiarazione di missionarietà e di universalismo. Questo episodio richiama la conclusione dell’intero Vangelo: “Andate e istruite tutte le genti…” (28,18). Due pagine missionarie che aprono e chiudono la storia di Cristo, con una differenza: nell’episodio dei Magi sono le genti che arrivano a Gerusalemme, alla fine del vangelo è la Chiesa inviata al mondo. Questo seconda annotazione esprime più profondamente la concezione della missione come servizio, come un uscire da sé per andare alla ricerca degli altri.

19 dicembre 2009

20 DICEMBRE 2009
Domenica prima del Natale
Dei Ss. Padri da Adamo fino a Giuseppe, sposo di Maria Vergine
S. Ignazio teòforo, ieromartire

TROPARI

Della Domenica: To fedhròn tis anastàseos kìrighma ek tu anghèlu mathùse e tu Kirìu mathìtrie, ke tin progonikìn apòfasin aporrìpsase tis Apostòlis kafchòmene èlegon: Eskìlefte o thànatos, ignèrthi Christòs o Thèos, dhorùmenos to kòsmo to mèga èleos.

Della Proeòrtia: Etimàzu Vithleèm, ìnikte pàsin i Edhèm; evtrepìzu efrathà. Òti to xìlon tis zoìs en to spilèo exìnthisen ek tis Parthènu. Paràdhisos ke gar i ekìnis gastìr edhìchthi noitòs, en o to thìon fitòn ex u fagòndes zìsomen, uchì dhe os o Adhàm tethnixòmetha. Christòs ghennàte, tin prin pesùsan anastìson ikòna.

Dei Ss. Padri: Megàla ta tis pìsteos katorthòmata! En ti pighì tis flogòs, os epì ìdatos anapàvseos, i Àghìi trìs Pèdhes igàllondo; ke o Profìtis Daniìl leòndon pimìn os provàton edhiknìto. Tes aftòn ikesìes, Christè o Theòs, sòson tas psichàs imon.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I Parthènos sìmeron ton proeònion Lògon en spileò èrchete apotekìn aporrìtos; Chòreve i ikumèni, akutisthìsa dhòxason metà Anghèlon ke ton Pimènon vulithènda epofthìne Pedhìon nèon, ton proèonon Thèon.

EPISTOLA
(Eb. 11,9-10.32-40)

Fratelli, per fede Abramo, soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta il cui architetto e costruttore è Dio stesso. E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riacquistarono i loro morti risuscitati. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.

VANGELO (Mt. 1,1-25)

Libro della genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì il figlio primogenito, che egli chiamò Gesù.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

OPISTHAMVONOS

O Dio dei santi e beati Padri nostri Abramo, Isacco e Giacobbe, salvezza dei martiri e gloria dei giusti, corona di tutti coloro che sin dall’inizio dei secoli hanno incontrato il tuo beneplacito, i tuoi Santi, concedici la grazia di celebrare la loro memoria e di entrare a far parte dei loro patimenti. Poiché sei tu che hai fatto grazia ai tuoi Santi e ai tuoi Martiri di combattere il buon combattimento, di percorrere la via della pietà e di custodire fino alla fine la fede professata, concedici di entrare nella loro schiera e nella loro eredità, affinché imitandone l’esempio, diveniamo degni di godere insieme dei beni di cui essi sono ora in possesso. Signore, per le preghiere e le suppliche dell’Immacolata Vergine Santa, dei santi e gloriosi tre fanciulli Anania, Azaria e Misaele e del beatissimo profeta Daniele insieme a tutti i tuoi Santi, usaci misericordia e sii nostro aiuto: concedici la grazia di celebrare con l’anima purificata la festività natalizia di Cristo Dio nostro, assistiti dal vivificante tuo Spirito. Poiché ogni gloria, onore e adorazione si addice a Te, Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.
Commento al Vangelo:

La genealogia con la quale Matteo apre il suo racconto suscita nel lettore un’impressione negativa: si direbbe una pagina arida e inutile, quindi da saltare. In realtà Matteo intende comunicarci profondi insegnamenti teologici, espressi però con il linguaggio di un’antica comunità giudeo-cristiana. L’intenzione vera delle genealogie bibliche non è tanto quella di offrire un rapporto di discendenza, quanto quella di tracciare, attraverso aridi nomi e in modo scheletrico, una storia che continua. Il centro di interesse che guida Matteo nel costruire questa pagina è Gesù, e precisamente in quanto figlio di Davide. Questo nel contesto di una polemica con i giudei, gli echi della quale sono rimasti nel Vangelo di Giovanni (7, 41-43): “Alcuni dicevano: è il Messia! Ma altri ribattevano: il Messia viene forse dalla Galilea? La Scrittura non afferma che il Messia viene dal seme di Davide, e da Betlemme, il villaggio di Davide? Ci fu dunque dissenso tra la folla per causa sua”. Con la genealogia, quindi, Matteo intende affermare che Gesù è figlio di Davide (tramite Giuseppe che lo adottò legalmente), ma nello stesso tempo ci fa capire che Gesù è molto di più. Difatti nel v. 16 (“Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato il Cristo”) Matteo introduce un’evidente rottura nella genealogia. Lo schema rigido (il tale generò il tale) che l’evangelista ha finora scrupolosamente osservato, qui viene spezzato: la generazione è sottratta a Giuseppe e il verbo non è più all’attivo (generò) ma al passivo (fu generato): chi è il generatore? La risposta ci verrà data più avanti, nel racconto della nascita. Per ora ci basti vedere come la linea del sangue venga ridimensionata ed è accompagnata dalla linea dell’elezione: è questa ciò che conta. Gesù non è solo figlio di Davide, ma viene da Dio. La genealogia è divisa in tre blocchi di 14 nomi ciascuno e i capisaldi di questa triplice divisione sono Abramo, Davide e l’esilio. Il nome Abramo evoca l’elezione e l’apertura universale di Dio, cioè un progetto di salvezza che non è legato al sangue ma che si estende a tutti. Il re Davide evoca, invece, lo splendore del regno e le speranze messianiche ad esso legate. Ciò che Abramo e Davide rappresentavano, ora si compie in Gesù. Ma il passaggio tra Davide e Gesù non è immediato: c’è l’esilio che segnò la fine della casa di Davide come grandezza politica. Gesù è un re senza corona, nessun cedimento a un progetto messianico politico e restauratore. Il numero 14 è un evidente tentativo simbolico-numerico di Matteo per mostrare la perfezione (il numero tre) e la pienezza (il numero sette) del piano di salvezza che Dio porta a compimento in Cristo. La genealogia, infine, menziona quattro donne, e questo è qualcosa di insolito che va spiegato. Potrebbe darsi che Matteo abbia voluto ancora una volta mettere in luce l’universalismo della nuova Alleanza, già prefigurata nella discendenza del Messia (le donne sono infatti straniere): il Cristo viene dall’umanità, non solo da Israele. Potrebbe anche aver voluto farci notare che la salvezza è offerta non solo ai giusti, ma anche ai peccatori (le donne nominate si ricollegano a situazioni di peccato) e che, comunque, il Cristo è solidale con la storia degli uomini, una storia non di santi ma di peccatori. Potrebbe, infine, aver voluto sottolineare che il disegno di Dio finisce sempre col compiersi, anche se, a volte, per vie sconcertanti. Le tre ipotesi non si escludono. Tamar ebbe tramite inganno un’unione incestuosa col suo genero Giuda. Raab era la prostituta di Gerico che offrì rifugio alle spie di Israele. Rut era una moabita, quindi straniera, che entrò a far parte della comunità israelitica. Betsabea era la moglie di Urìa e la compagna di adulterio di Davide. Dunque, la promessa di Dio si realizza a dispetto degli uomini, per vie sconcertanti e impensate. Accanto alla linea del sangue, prevedibile, c’è la linea della sorpresa e dell’elezione: accanto al popolo giudaico c’è quello degli stranieri. In definitiva, il Cristo non è frutto della volontà degli uomini ma della volontà di Dio che sa procedere anche quando gli uomini vorrebbero sbarrarle la strada. Giuseppe è chiamato “giusto” perché da una parte è desideroso di osservare la legge (che obbligava il marito a sciogliere il matrimonio in caso di adulterio: Maria, infatti, era incinta) e, dall’altra, mitiga con la magnanimità il rigore della legge (evita di esporre sua moglie alla pubblica diffamazione). Ma Giuseppe è anche “giusto” perché constatando una presenza di Dio, una economia superiore, si ritira di fronte ad essa, senza pretese. “Giusto” ha così il senso tipico di Matteo, cioè accettazione del piano di Dio anche là dove esso sconcerta il proprio. Tenendo presente questo senso che Matteo dà al termine “giusto”, possiamo concludere che l’annuncio dell’angelo non ha come oggetto il concepimento verginale, che Giuseppe già conosceva (e che costituiva appunto il motivo per cui pensava di ritirarsi nell’ombra). Ma l’oggetto è invece di fargli conoscere il compito che lo attendeva, cioè quello d’imporre il nome al bambino e assumerne la paternità legale. La nascita di Gesù è collocata all’interno del grande disegno divino della salvezza, già annunziato ai profeti e già in atto nella prima alleanza con Israele: questo è lo scopo della citazione di Isaia (7,14) che Matteo colloca a questo punto del racconto. Non per nulla il nome di Gesù rimanda al verbo ebraico “salvare”, come puntualizza l’angelo, e a lui si adatta in pienezza il titolo di Emmanuele, cioè Dio-con-noi. L’espressione “Dio con noi” la ritroveremo alla fine del Vangelo di Matteo: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (28,20). Cristo è presente nella Chiesa e conti-nua ad essere il Dio con noi. Non solo è presente nella comunità, ma è il salvatore e il sostegno della comunità. Il vangelo di Matteo non perde occasione per dirci i luoghi privilegiati della presenza del Risorto: nella comunità radunata nel suo nome, negli apostoli missionari, nei fratelli bisognosi, nella chiesa che predica. All’interrogativo “chi è Cristo?” Matteo risponde: Gesù è il Figlio di Dio, perché è nato dallo Spirito, è un dono dall’alto e non solo dalla discendenza Davide. Egli viene da Davide, ma attraverso una via di elezione che supera quella del sangue. In lui avviene un compimento nuovo, inatteso e per molti deludente: quello della Croce.

12 dicembre 2009

13 DICEMBRE 2009

XI DOMENICA DI S. LUCA
Domenica dei santi Progenitori –Ss. Eustrazio, Aussenzio, Eugenio, Mardario e Oreste, martiri – S. Lucia vergine e martire

TROPARI

Della Domenica: Effrenèstho ta urània, agalìastho ta epìghia, òte epiìse kràtos en vrachìoni aftù o Kìrios; epàtise to thanàto ton thànaton, protòtokos ton nekròn eghèneto; ek kilìas Adhu errìsato imàs ke parèsche to kòsmo to mèga èleos.

Dei Progenitori: En pìsti tus Propàtoras edhikèosas, tin ex ethnòn dhi’aftòn promnistevsàmenos Ekklisìan. Kavchònde en dhòxi i àghii, òti ek spèrmatos aftòn ipàrchi karpòs evkleìs, i aspòros tekùsa se. Tes aftòn ikesìes, Christè o Theòs, sòson tas psichàs imòn.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I Parthènos sìmeron ton proeònion Lògon en spileò èrchete apotekìn aporrìtos; Chòreve i ikumèni, akutisthìsa dhòxason metà Anghèlon ke ton Pimènon vulithènda epofthìne Pedhìon nèon, ton proèonon Thèon.

EPISTOLA (Col. 3,4-11)

Fratelli, quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria. Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.

VANGELO (Lc. 14,16-24)

Disse il Signore questa parabola: "Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto. Ma tutti, all’unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena. Molti, infatti, sono i chiamati, pochi gli eletti".

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:
Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

Commento al Vangelo:
In questa parabola Gesù invita tutti a entrare nel Regno di Dio. C’è chi rifiuta (scribi e farisei) e c’è chi accetta (peccatori ed emarginati). Gli invitati rifiutano ritenendo di avere cose più importanti da fare, come: aver cura dei propri affari, del lavoro e della famiglia, si tratta di occupazioni plausibili, persino doverose. Ma anche queste occupazioni doverose, se si assolutizzano, distraggono dall’accoglienza del regno: questo è il forte avvertimento della parabola. Nulla viene prima del regno di Dio e nulla è più importante: il padrone non attende, se gli uomini non rispondono subito al suo invito, egli occupa subito i loro posti con altre persone.

4 dicembre 2009

06 DICEMBRE 2009

X DOMENICA DI S. LUCA

S. NICOLA, VESCOVO DI MIRA DELLA LICIA, IL TAUMATURGO

PATRONO DI PALAZZO ADRIANO





TROPARI

Della Domenica: Ote katìlthes pros ton thànaton, i zoì athànatos, tòte ton àdhin enèkrosas ti astrapì tis Theòtitos; òte dhe ke tus tethneòtas ek ton katachtonìon anèstisas, pàse e dhinàmis ton epuranìon ekràvgazon: Zoodhòta Christè, o Theòs imòn, dhòxa si.

Del Santo: Kanòna pìsteos ke ikòna praòtitos enkratìas dhidàskalon anèdhixè se ti pìmni su i ton pragmàton alìthia; dhià tùto ektìso ti tapinòsi ta ipsilà, ti ptochìa ta plùsia; Pàter Ierarcha Nikòlae, prèsveve Christò to Theò, sothìne tas psichàs imon.

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: I Parthènos sìmeron ton proeònion Lògon en spileò èrchete apotekìn aporrìtos; Chòreve i ikumèni, akutisthìsa dhòxason metà Anghèlon ke ton Pimènon vulithènda epofthìne Pedhìon nèon, ton proèonon Thèon.

EPISTOLA (Eb. 13,17-21):
Fratelli, obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi, come chi ha da renderne conto; obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi. Pregate per noi, poiché crediamo di avere una buona coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto. Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché possa esservi restituito al più presto. Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amìn.

VANGELO (Lc. 6,17-23):
In quel tempo Gesù si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi Discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti. Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli”.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

MEGALINARIO DI SAN NICOLA

Orfanòn prostàtin ke chiròn, pinònton trofèa, penomènon te plutistìn, echmalòton rìstin, pleònton te sotìra, kektìmetha pammàkar, sofé Nikòlae.

KINONIKON

Is mnimòsinon eònon èste dhìkeos ke apò akoìs poniràs u fovithìsete. Allilùia.

Al posto di “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

Commento al Vangelo:
La cornice di questo discorso di Gesù è molto solenne (6,17). Gesù discende dalla montagna in un luogo pianeggiante (Matteo dice invece che salì sul monte) e pronuncia il suo discorso circondato da molti discepoli, dai dodici e dalle folle venute da ogni parte, perfino dalle contrade pagane di Tiro e Sidone. Il discorso è pronunciato davanti a tutti: non solo ai dodici e al popolo giudaico, ma a tutti. Tuttavia è anche vero che il discorso è particolarmente rivolto ai discepoli, le folle sono sullo sfondo, in seconda fila: “Alzati gli occhi verso i suoi discepoli”. In questa cornice universale, Gesù è presentato nell’interezza della sua missione: annuncia la Parola, guarisce i malati, libera dallo spirito del male. Le beatitudini assumono il senso di una proclamazione messianica: un annuncio che il regno di Dio è arrivato. Dietro le beatitudini, gli esegeti, hanno intravisto il testo profetico di Isaia 61,1ss, un passo già citato da Gesù nella sinagoga di Nazaret. I profeti hanno descritto il tempo messianico come il tempo in cui Dio si sarebbe preso cura dei poveri, degli emarginati, degli affamati, dei perseguitati e degli inutili. Gesù proclama che questo tempo è arrivato. Per i profeti le beatitudini erano al futuro, una speranza, per Gesù è un presente: oggi i poveri sono beati, e la ragione è una sola: la gioia del regno arrivato. È alla luce di questo regno, che ha capovolto i valori comuni, che si giustifica la paradossalità di queste parole di Gesù che proclamano “felici” persone che si trovano in situazioni di sofferenza. L’aspetto più importante è forse ancora un altro: Gesù non si è accontentato di proclamare le beatitudini, le ha vissute per primo. Ha cercato i poveri e li ha amati. Egli fu povero, sofferente, affamato, perseguitato. Sta qui il senso profondo delle beatitudini. La vita di Gesù è la chiave che permette di entrare nel loro spirito e comprenderle. Matteo elenca otto beatitudini, Luca invece quattro: i poveri, gli affamati, coloro che piangono e i perseguitati. Nella sua accezione originaria la parola “poveri” (ptochì) indica i mendicanti, coloro che fanno gesti di implorazione, si rannicchiano. Non c’è soltanto il fatto della povertà, ma anche quello di essere trascurati, poveri accanto a gente ricca, oppressi. Coloro che piangono e coloro che hanno fame sono, sostanzialmente, una ripetizione dei poveri. Non è possibile introdurre in queste beatitudini di Luca una dimensione etica e spirituale, Luca ha di mira delle situazioni. La quarta (i perseguitati) è la beatitudine del discepolo: si stacca quindi dalle tre precedenti che non hanno direttamente di mira il discepolo ma semplicemente il povero e l’oppresso. Già è possibile una prima conclusione: a differenza di Matteo, Luca sembra aver di mira delle situazioni di fatto di oppressione ed emarginazione e non atteggiamenti etici (poveri in spirito, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore). Il messaggio vuole dunque invitare a capovolgere le valutazioni: i poveri contano presso Dio, ad essi appartiene il Regno. Si noti la precisa formulazione delle beatitudini: ai poveri non viene detto direttamente di farsi giustizia, ma che ad essi appartiene il regno, e questa promessa non è al futuro, ma al presente. Il discorso evangelico è religioso, non sociologico o politico. Ma è proprio da questo valore religioso che scaturisce il diritto dei poveri ad avere giustizia: poiché sono amati da Dio e appartengono al Regno, pertanto sono ingiuste le emarginazioni in cui sono stati confinati. E’ possibile anche un’altra conclusione: davanti a una folla di malati, venuti per essere guariti, Gesù proclama le beatitudini. A coloro che sono afflitti, piangono e soffrono, Egli addita anzitutto un futuro diverso, non promette un cambiamento presente: “Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati”. Gesù compie miracoli, ma i miracoli sono segnali di speranza, non soluzioni. Nelle beatitudini, Egli non proclama che ora non ci sarà più la sofferenza, né le molte cause che la provocano, afferma, invece, la certezza di un mondo nuovo, e questo rende possibile vivere già ora in una luce totalmente diversa. Le beatitudini ci insegnano come un vero discepolo deve guardare la folla dei diseredati che hanno circondato Gesù e che riempiono il mondo: con occhi nuovi, con gli occhi di Dio. Per concludere: le beatitudini vanno anche lette alla luce degli Atti degli Apostoli. Luca, infatti, descrive la Chiesa ideale come la comunità in cui “non c’era nessuno che ritenesse cosa propria alcunché di ciò che possedeva, ma tutto era fra loro comune, poiché quanti possedevano campi o case, li vendevano e portavano il ricavato ai piedi degli Apostoli. Veniva poi distribuito a ciascuno secondo che ne aveva bisogno” (At 4, 32-35).

PREGHIERA A SAN NICOLA

O degnissimo e gloriosissimo Pastore e Pontefice Nicola Santo, Nicola grande, o pietosissimo, e benignissimo nostro Protettore, difensore degli innocenti, provvido padre dei poveri e consolatore degli afflitti, custode delle vergini, sostegno delle vedove, refrigerio dei coniugati, salvezza dei naviganti e cattivi, umilmente prostrati ai vostri piedi vi preghiamo volere essere nostro avvocato presso la Divina Clemenza impetrandoci il di Lei aiuto in tutti i nostri bisogni e pericoli tanto Spirituali che temporali. Vi supplichiamo ancora a voler difendere e proteggere questo paese sempre a voi ossequioso e devoto di ciascun fedele che in esso si trova, da ogni tribolazione, o contrarietà dei nemici visibili ed invisibili, sia dell’anima che del corpo, da guerra, carestia, da morbo contagioso, e da ogni sorte di morte subitanea e violenta. Sì Padre Santo in voi confidiamo, e colle vostre valevoli intercessioni speriamo ancora la grazia efficace del nostro miserabile peregrinaggio, particolare assistenza nelle nostre agonie Spirituali, confortate nell’ultimo spirito di nostra vita per passare a godere il nostro amatissimo Dio nella celeste Patria eternamente. Amìn.

3 dicembre 2009

6 Dicembre 2009 festività di San Nicola di Mira Patrono di Palazzo Adriano

Con gioia annunciamo ai nostri lettori che Sua Eccellenza il Nostro Vescovo Sotir ha comunicato all'Arciprete papàs Sepa che per la festività del Santo Patrono la Comunità di Palazzo Adriano avrà l'onore e la gioia di avere come gradito ospite

S. E. Rev.ma Isidore Battikha
Arcivescovo - Metropolita di Homs dei Greco-Cattolici.

Il Metropolita si fermerà qualche giorno nella Nostra Eparchia, il Vescovo Sotir ha delegato l'Arciprete a fare gli onori all'illustre ospite a nome e per conto dell'Eparchia.

Orario delle celebrazioni:

Sabato 5 Dicembre
alle ore 9,30 Divina Liturgia
alle ore 18,30 Vespri solenni presieduti da S. E. Rev.ma l'Arcivescovo Isidore

Domenica 6 Dicembre
alle ore 10,30 Divina Liturgia Pontificale celebrata
da S. E. Rev.ma l'Arcivescovo Isidore

alle ore 17,00 Celebrazione Eucaristica in rito Romano

alle ore 18,00 Processione