23 dicembre 2009

25 DICEMBRE

NATIVITÀ SECONDO LA CARNE DEL SIGNORE, DIO E SALVATORE NOSTRO GESU’ CRISTO

L'uomo, plasmato dalle mani del Signore, immagine della Sua gloria, fu posto in un luogo conveniente all'immagine del Re: il Paradiso. Questo essere fu, ben presto, oggetto d'invidia per la sua bellezza e per la sua felicità; venne tratto in inganno e cadde nella rete della malvagità, che gli era stata tesa. Affiorò, allora, in lui tutta la somiglianza con gli animali. Sentita la voce del Signore, per la prima volta, si nascose operando in tal modo egli stesso il deserto nel paradiso. Il Signore, profondamente turbato, non sopportò che l'immagine della Sua Maestà potesse rimanere per sempre corrotta e fece sentire subito la Sua voce: "dove sei?". Questa voce è stata poi diffusa tramite innumerevoli echi in tutti i luoghi e in tutti i tempi, ma l'uomo non rispose. Allora il Signore mise in opera il meraviglioso piano della salvezza. Sceso dal cielo, dal trono della Sua gloria, prese dimora nella Sua immagine e assunse l'aspetto di servo per poter rigenerare l'immagine distrutta, ridipingere la primitiva figura. Si è avuta così la nuova creazione in Cristo e la rigenerazione della stirpe umana: l'uomo creato a immagine del Signore è di nuovo stabilito nella primitiva bellezza. Gregorio Nazianzeno, che ebbe il soprannome di Teologo, parlando sul mistero della Natività ebbe a dire: !Il Signore si mette una seconda volta in comunione con l'uomo, e in comunione molto più straordinaria della prima, in quanto la prima volta Egli mi fece partecipare alla natura migliore, ora invece è Lui che partecipa all'emento peggiore. Questo fatto è più sublime dell'altro, per coloro che hanno senno". L'icona della Natività del Signore rappresenta una tessera del mirabile piano salvifico: l'espressione più grande del suo amore per noi, l'unione escatologica del celeste e del terrestre: guardiamo il Verbo posto per noi in una mangiatoia e lo consideriamo alla destra del Padre, lo vediamo nelle braccia della madre e lo crediamo nel seno del Padre. Lo vediamo in questa icona e cogliamo quelle verità che moltio profeti e re desiderarono vedere e non videro: il Creatore, che si è fatto uomo come noi, è venuto nella creazione senza umiliazione nè degradazione per glorificare la nostra natura e renderci partecipi di quella divina. Per poter gustare queste meraviglie è, tuttavia, opportuno conoscere e capire. Prendendo in prestito da un grande omileta le parole: ti chiedo, caro Lettore, di farmi dono della tua mente pia, scevra da ogni sollecitudine mandana e materiale, pura come una tavola preparata per essere dipinta, e io vi traccerò la meravigliosa immagine della Natività, affinchè tu possa cmprendere la profondità del messaggio e il mistero, e insieme possiamo rendere gloria al Signore. Una delle prime notizie sulla festa della Natività del Signore risale al IV secolo; in tale epoca la festività è congiunta alla celebrazione della Epifania (Battesimo del Signore), cioè il 6 gennaio si commemora insieme la nascita, l'adorazione dei Magi e il battesimo di Cristo. Una tale concomitanza era più che naturale perché nella Sua nascita il Figlio di Dio era apparso in modo nascosto, mentre nel battesimo in modo perfetto: Egli fu rivelato alle genti mediante le parole del Padre, "Tu sei mio Figlio diletto" e la discesa dello Spirito in forma di colomba. Le cause del successivo sdoppiamento delle feste del Natale e dell'Epifania vanno ricercate nell'esigenza della Chiesa di far fronte agli insegnamenti degli eretici gnostici, doceti e ariani. Era opportuno, infatti, sottolineare tanto la vera umanità che la vera divinità nel Cristo sin dalla sua nascita.

(tratto da Gaetano Passarelli, L'ICONA DEL NATALE, La Casa di Matriona Milano 1989)


PRIMA ANTIFONA

Exomologhìsomè si, Kìrie, en òli kardhìa mu, dhiighìsome pànda ta thavmasià su.

SECONDA ANTIFONA

Makàrios anìr o fovùmenos ton Kìrion; en tes endolès aftù thelìsi sfòdhra.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu techthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Ipen o Kìrios to Kirìo mu: kàthu ek dhexiòn mu èos anthò tus echthrùs su ipopòdhion ton podhòn su.

I Ghènnisis su, Christè o Theòs imòn, anètile to kòsmo to fos to tis gnòseos; en aftì gar i tis àstris latrèvontes ipò astèros edhidhàskondo se proskinìn ton Ilion tis dhikeosìnis, ke se ghinòskin ex ìpsus Anatolìn, Kìrie, dhòxa si.

ISODHIKON

Ek gastròs pro Eosfòru eghennisà se; òmose Kìrios, ke u metamelithìsete: Si i Ierèfs is ton eòna, katà tìn tàxin Melchisedhèk.

Sòson imàs, Iiè Theù, o ek Parthènu techthìs, psàllondàs si. Allilùia.

TROPARI

I Ghènnisìs su…

I Parthènos simeron ton iperùsion tìkti, ke i ghi to spìleon to aprosìto prosàghi. Àngheli metà pimènon dhoxologùsi; Màghi dhe metà astèros odhiporùsi: dhi’imàs gar eghennìthi Pedhìon nèon, o pro eònon Theòs.


TRISAGHION

Osi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allìluia.

EPISTOLA
(Gal. 4,4-7)

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.

VANGELO (Mt. 2,1-12)

Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perchè così è scritto per mezzo del profeta: E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele"
. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perchè anch'io venga ad adorarlo". Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non andare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

MEGALINARIO

Megàlinon, psichì mu, tin timiotèran ke endhoxotèran ton àno Stratevmàton. Mistìrion xènon orò ke paràdhoxon: uranòn to spìleon; thrònon cheruvikòn tin Parthènon; tin fàtnin chorìon en o aneklìthi o achòritos Christòs o Thèos; on animnùndes megalìnomen.

KINONIKON

Lìtrosin apèstile Kìrios to laò aftù. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fos…” si canta:

I Ghènnisìs su…

OPISTHAMVONOS

Christè o Theòs imòn, o pro pàndon ton eònon apathòs ex anàrchu Patròs eklàmpsas, ep’eschàtis dhe kerìs ek Parthènu aghìas sarkothìs ke ghennithìs; o dhi imàs ptochèfsas, ìna ti si ptochìa plutìsomen; o en spargànis ilichthìs os vrèfos ke en fàtni anaklithìs theikòs. Dhèspota, o pànda perièpon, aftòs pròsdexe imòn tas eftelìs enèsis ke dheìsis, òsper tin ton pimènon ènesin ke tin ton màgon metà dhòron proskìnisin ke sinchoreftàs imàs ghenèsthe kataxìoson tis uranìu stratiàs, ke klironòmus anadhichthìne agalliàseos uranìu tis itimasmènis tis axìos eortazusì su tin Ghènnisin, ke tis pistìs àrchusi ìkas dhòrise; òti filànthropos i ke dhedoxasmènos sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin, ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

Al posto di “Ìi to ònoma…” si canta:

Christòs ghennàte dhoxàsate; Christòs ex uranòn, apandìsate; Christòs epì ghis, ipsòthite. Àsate to Kirìo, pàsa i ghi, ke en effrosìni animnìsate, laì, oti dhedhòxaste.

APOLISIS

O en spilèo ghennithìs ke en fàtni anaklithìs, dhìa tin imòn sotirìan, Christòs o alithinòs…

Commento al Vangelo:

Il racconto dei Magi illustra il tema del Cristo cercato e rifiutato: il Messia è il segno di contraddizione. L’arrivo dei Magi, guidati dalla stella, che li conduce a Betlemme, è il segno che Gesù compie le promesse antiche, ma il compimento è accompagnato dal giudizio su Israele: i lontani accolgono il Messia e i vicini lo rifiutano. Tutto il Vangelo di Matteo è segnato da questa sorpresa: basti pensare alla parabola dei vignaioli omicidi o alla parabola della grande cena, ambedue mostrano che il regno passa da Israele ai pagani, e che questo passaggio rientra nel disegno di Dio. Abbiamo parlato di sorpresa, ma questo non significa novità nel comportamento di Dio, tanto meno rottura nel suo modo di condurre la storia. Al contrario: Dio non fa che applicare anche in questo caso, come sempre, il principio dell’accoglienza della Parola, che è un criterio decisivo: è l’accoglienza della Parola (con la disponibilità alla conversione), che distingue chi appartiene al regno e chi no. Ma in questo episodio non c’è solo il significato di Cristo, ma anche quello della Chiesa. La pagina dei Magi è una solenne dichiarazione di missionarietà e di universalismo. Questo episodio richiama la conclusione dell’intero Vangelo: “Andate e istruite tutte le genti…” (28,18). Due pagine missionarie che aprono e chiudono la storia di Cristo, con una differenza: nell’episodio dei Magi sono le genti che arrivano a Gerusalemme, alla fine del vangelo è la Chiesa inviata al mondo. Questo seconda annotazione esprime più profondamente la concezione della missione come servizio, come un uscire da sé per andare alla ricerca degli altri.

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