3 aprile 2010

04 APRILE 2010
SANTA E GRANDE DOMENICA DI PASQUA

“Alcuni scribi e farisei lo interrogarono: ‘Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno’. Ed egli rispose: ‘Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno del profeta Giona. Come, infatti, Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra’”. Ecco, allora, che secondo la sua promessa il Re della Gloria rivestito della porpora della sua carne ha visitato i prigionieri ed ha proclamato la liberazione di coloro che giacevano nelle ombre. Assunse la nostra carne per darci sovrabbondanti le sue grazie e il suo corpo fu come esca gettato in braccio alla morte, affinchè, mentre il drago infernale sperava di divorarlo, dovesse invece vomitare anche coloro che aveva già divorato. Egli, infatti, precipitò la morte per sempre ed asciugò da tutti gli occhi le lacrime. È entrato nelle fauci della morte e, come Giona, nel ventre del cetaceo ha soggiornato tra i morti, non perché vinto, ma per raccattare la dramma perduta, la pecorella smarrita: Adamo. Fiaccola portatrice di luce, la carne di Dio, sottoterra dissipa le tenebre dell’inferno. La luce risplende fra le tenebre. L’icona della resurrezione di Cristo è la rappresentazione iconografica di questo grande mistero: la discesa del Signore agli inferi per liberare le anime dei giusti. Questo poteva farlo solo Lui. Dice, infatti, l’Apostolo Paolo: “Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri (…). Ma che significa la parola ‘ascese’, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose: Gesù Cristo, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua eguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. Nella tradizione delle Chiese bizantine, infatti, sono essenzialmente due le rappresentazioni iconografiche: la Discesa agli Inferi e le Donne recanti aromi (Mirofore) al sepolcro. Sono due modi di esprimere lo stesso concetto : “Cristo è risorto!”.

(Tratto da Gaetano Passarelli, L'Icona della Resurrezione, La Casa di Matriona, Milano 1991)

Il Sacerdote, dopo aver detto: "Evloghimèni i vasilìa", mentre incensa l’altare, le icone e l’assemblea, intercalato col popolo, canta tre volte:

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

Poi il tropario si intercala una volta a ogni versetto recitato dal sacerdote:

Anastìto o Theòs ke dhiaskorpisthìtosan i echthrì aftù ke fighètosan apò prosòpu aftù i misùndes aftòn.

Os eklìpi kapnòs, eklipètosan, os tìkete kiròs apò prosòpu piròs.

Ùtos apolùnde i amartolì apò prosòpu tu Theù ke i dhìkei effranthìtosan.

Àfti i imèra, in epìisen o Kìrios, agalliasòmetha ke effranthòmen en aftì.

Dhòxa Patrì, ke Iiò, ke Aghìo Pnèvmatì.

Ke nin ke aì ke is tus eònas ton eònon. Amìn.

Christòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas …

Ke tis en tis mnìmasi zoìn charisàmenos.

PRIMA ANTIFONA

Alalàxate to Kìrio, pàsa i ghi.

SECONDA ANTIFONA

O Theòs iktirìse imàs ke evloghìse imàs.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Anastìto o Theòs…

Christòs anèsti ek nekròn…

ISODHIKON

En ekklisìes evloghìte ton Theòn, Kìrion ek pigòn Israìl.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si. Allilùia.

TROPARI

Christòs anèsti ek nekròn … (3 volte)

Prolavùse ton òrthron e perì Mariàm, ke evrùse ton lìthon apokilisthènda tu mnìmatos, ìkuon ek tu Anghèlu: Ton en fotì aidhìo ipàrchonda, metà nekròn ti zitìte os ànthropon? Vlèpete ta endàfia spàrgana; dhràmete ke to kòsmo kirìxate, os ighèrthi o Kìrios, thanatòsas ton thànaton; òti ipàrchi Theù Iiòs, tu sòzondos to ghènos ton anthròpon.

I ke en tàfo katìlthes, athànate, allà tu Àdhu kathìles tin dhìnamin; ke anèstis os nikitìs, Christè o Theòs, ghinexì Mirofòris fthenxàmenos: Chèrete, ke tis sis Apostòlis irìnin dhorùmenos, o tis pesùsi parèchon anàstasin.

TRISAGHION

Òsi is Christòn evaptìsthite, Christòn enedhìsasthe. Allilùia.

EPISTOLA (Atti 1,1-8)

Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre “quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” .Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino agli estremi confini della terra”.

VANGELO (Gv. 1,1-17)

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

MEGALINARIO

O Ànghelos evòa ti kecharitomèni: Aghnì Parthène, chère, ke pàlin erò, chère; o sos Iiòs anèsti triìmeros ek tàfu ke tus nekrùs eghìras, laì agalliàsthe. Fotìzu, fotìzu, i nèa Ierusalìm; i gar dhòxa Kirìu epì se anètile, Chòreve nin ke agàllu, Siòn: Si dhe, aghnì, tèrpu, Theotòke, en ti Eghèrsi tu tòku su.

KINONIKON

Sòma Christù metalàvete, pighìs athanàtu ghèfsasthe. Allilùia.

Al posto di “Idhomen to fòs…” e “Ii to ònoma…” si canta:

Christòs anèsti ek nekròn …

OPISTHAMVONOS

Lambrà imìn ke sotìrios sìmeron imèra epèfanen, adhelfì, i tu Kirìu imòn Iisù Christù Anàstasis; ke dhià tùtu dhiafòris andhràsi kekòsmite o tu Kirìu naòs. Idhù gar ke pollì ton eklektòn ke pistòn u mònon ton tis nistìas kòpon ilaròs ipìnenkan, all’èti, ke lambàdas anàpsandes, ti tis Anastàseos eortì prothìmos to Vasilì ton eònon dhòra prosèferon. Ti gar Anastàsi Christù tu Theù imòn, chèri pàsa i ikumèni, o uranòs kathèrete ti ègli tis Theòtitos, ghi stolìzete, thàlassa praìnete, tìranni pàvusin, efsevìs prokòptusin, katichùmeni fotìzonde, echthrì is irìnin èchonde, peplanimèni epistrèfusin, e amartìe lìonde, e Ekklisìe effrènonde, ke Christòs o Theòs doxàzete, allà ke mitères lambrès angàles to Vasilì tòn eònon dhòra prosàgusi, uchì limònon ànthi, allà tin ton neofotìston chàrin tu Pnèvmatos. Dhiò ke imòn ton tapinòn ierèon tin thisìan ke latrìan pròsdhexe, ton ek neòtitos imòn mèchri ghìrus plimmelimàton àfesin dhòrise, os agathòs ke filànthropos Theòs imòn. Tis orthodhòxis àrchusin nìkas dhòrise katà ton polemìon. Ton Archierèa imòn, Kìrie, fìlaxon en to timìo thròno aftù. Ton àpanda klìron ke laòn en irìni ke omonìa dhiatìrison. Ton periestòta laòn ke en apolàfsi ghenòmenon ton thìon ke achràndon ke zoopiòn su mistirìon frùrison, elèison ke dhiafìlaxon; presvìes tis achràndu su Mitròs, ton aghìon Apostòlon ke ton mirofòron ghinekòn; òti si i o anastàs ek nekròn, Christè o Theòs imòn, ke si tin dhòxan anapèmbomen, sin to anàrcho su Patrì, ke to panaghìo ke agathò ke zoopiò su Pnèvmati, nin ke aì, ke is tus eònas ton eònon.

SALUTO PASQUALE

Sac.: Christòs anèsti

Pop.: Alithòs anèsti

Sac.: Krishti u ngjall

Pop.: Vërteta u ngjall

Sac.: Cristo è risorto

Pop.: È veramente risorto

Zi ke vasilèvi is pàntas tus eònas. Amìn.

Christòs anèsti ek nekròn…

CATECHESI DI S. GIOVANNI CRISOSTOMO

Se uno è pio e amico di Dio, goda di questa solennità bella e luminosa. Il servo d’animo buono entri gioioso nella gioia del suo Signore. Chi ha faticato nel digiuno, goda ora il suo denaro. Chi ha lavorato sin dalla prima ora, riceva oggi il giusto salario. Se uno è arrivato dopo la terza ora, celebri grato la festa. Se uno è giunto dopo la sesta ora, non dubiti perché non ne avrà alcun danno. Se uno ha tardato sino all’ora nona, si avvicini senza esitare. Se uno è arrivato solo all’undicesima ora, non tema per la sua lentezza: perché il Sovrano è generoso e accoglie l’ultimo come il primo. Egli concede il riposo a quello dell’undicesima ora, come a chi ha lavorato sin dalla prima. Dell’ultimo ha misericordia, e onora il primo. Dà all’uno e si mostra benevolo con l’altro. Accoglie le opere e gradisce la volontà. Onora l’azione e loda l’intenzione. Entrate dunque tutti nella gioia del nostro Signore: primi e secondi, godete la mercede. Ricchi e poveri, danzate in coro insieme. Continenti e indolenti, onorate questo giorno. Quanti avete digiunato e quanti non l’avete fatto, oggi siate lieti. La mensa è ricolma, deliziatevene tutti. Il vitello è abbondante, nessuno se ne vada con la fame. Tutti godete il banchetto della fede. Tutti godete la ricchezza della bontà. Nessuno lamenti la propria miseria, perché è apparso il nostro comune regno. Nessuno pianga le proprie colpe, perché il perdono è sorto dalla tomba. Nessuno tema la morte, perché la morte del Salvatore ci ha liberati. Stretto da essa, egli l’ha spenta. Ha spogliato l’ade, colui che nell’ade è disceso. Lo ha amareggiato, dopo che quello aveva gustato la sua carne. Ciò Isaia lo aveva previsto e aveva gridato: L’ade è stato amareggiato, incontrandoti nelle profondità. Fu amareggiato, perché fu distrutto. Fu amareggiato, perché fu giocato. Fu amareggiato, perché fu ucciso. Fu amareggiato, perché fu annientato. Fu amareggiato, perché fu incatenato. Aveva preso un corpo, e si è trovato davanti Dio. Aveva preso terra e ha incontrato il cielo. Aveva preso ciò che vedeva, ed è caduto per quel che non vedeva. Dov’è, o morte il tuo pungiglione? Dov’è, o ade, la tua vittoria? Cristo è risorto, e tu sei stato precipitato. Cristo è risorto, e i demoni sono caduti. Cristo è risorto, e gioiscono gli angeli. Cristo è risorto, e regna la vita. Cristo è risorto, e non c’è più nessun morto nei sepolcri. Perché Cristo risorto dai morti è divenuto primizia dei dormienti. A lui la gloria e il potere per i secoli dei secoli. Amìn.

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