20 febbraio 2010

21 FEBBRAIO 2010
I Domenica di Quaresima detta dell’Ortodossia
S. Timoteo dei Simboli – S. Eustazio, patriarca della grande Antiochia

In questo giorno si fa memoria del ripristino della dignità delle sante Icone e dell'onore che ad esse deve essere dato, ossia di Venerazione. La vittoria dell'ortodossia sull'eresia iconoclasta, che negava il culto a Dio per mezzo delle immagini sacre e la possibilità dell'esistenza stessa delle immagini, avvenne nel VII Concilio Ecumenico, detto Concilio di Nicea II. In questo Concilio i Santi Padri condannarono l'iconoclastia e confermarono le condanne delle dottrine eretiche affrontate nei precedenti Concili Ecumenici, segnando la fine delle controversie teologiche e cristologiche. L'11 marzo 843 avvenne la solenne liturgia per la restaurazione del culto dell'Icona all'interno della Chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli e da allora si celebra tale festa nella prima domenica di Quaresima. "Definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini, sia dipinte che in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la santa madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione... L'onore reso all'immagine passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l'immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto".

PRIMA ANTIFONA

O Kìrios evasìlevsen, evprèpian enedhìsato, enedhìsato o Kìrios dhìnamin ke periezòsato.

SECONDA ANTIFONA

Exomologhisàsthosan to Kirìo ta elèi aftù, ke ta thavmàsia aftù tis iìs ton anthròpon.

Sòson imàs, Iiè Theù, o anastàs ek nekròn, psallondàs si: Allilùia.

TERZA ANTIFONA

Enesàtosan aftòn i uranì ke i ghi, thàlassa ke pànda ta èrponda en aftì.

Tin àchrandon ikòna su proskinùmen, Agathè, etùmeni sinchòrisin ton ptesmàton imòn, Christè o Theòs, vulìsi gar ivdhòkisas sarkì anelthìn en to stavrò, ìna rìsi us èplasas ek tis dhulìas tu ecthrù, òthen evcharìstos voòmen si: charàs eplìrosas ta pànda, o Sotìr imòn, paraghenòmenos is to sòse ton kòsmon.

TROPARI

Della Domenica: Ton sinànarchon Lògon Patrì ke Pnèvmati, ton ek Parthènu te-chthènda is sotirìan imon, animnìsomen pistì ke proskinìsomen; òti ivdhòkise sarkì, anelthìn en to stavrò, ke thànaton ipomìne, ke eghìre tus tethneòtas, en ti endhòxo Anastàsi aftù.

Della festa: Tin àchrandon ikòna su…

Della titolare della Parrocchia: En ti ghennìsi tin parthenìan efìlaxas, en ti kimìsi ton kòsmon u katèlipes, Theotòke. Metèstis pros tin zoìn, Mìtir ipàrchusa tis zoìs ke tes presvìes tes ses litrumèni ek thanàtu tas psichàs imòn.

Kontàkion: Ti ipermàcho stratigò ta nikitìria, os litrothìsa, ton dhinòn evcharistìria, anagràfo si i pòlis su, Theotòke. All’òs èchusa to kràtos aprosmàchiton, ek pandìon me kindhìnon eleftèroson, ìna kràzo si: Chère, Nimfi anìmfevte.

EPISTOLA (Eb. 11,24-26.32-40)

Fratelli, per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di esser chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato. Questo perché stimava l’obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto; guardava infatti alla ricompensa. E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barak, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trovarono forza dalla loro debolezza, divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri. Alcune donne riacquistarono per risurrezione i loro morti. Altri poi furono torturati, non accettando la liberazione loro offerta, per ottenere una migliore risurrezione. Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, segati, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati – di loro il mondo non era degno! –, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra. Eppure, tutti costoro, pur avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non conseguirono la promessa: Dio aveva in vista qualcosa di meglio per noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di noi.

VANGELO (Gv. 1,43-51)

In quel tempo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi”. Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret”. Natanaèle esclamò: “Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?”. Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”. Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. Natanaèle gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico”. Gli replicò Natanaèle: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”. Poi gli disse: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.

MEGALINARIO

Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis, anghèlon to sìstima ke anthròpon to ghènos, ighiasmène naè ke paràdhise loghikè, parthenikòn kàvchima, ex is Theòs esarkòthi ke pedhìon ghègonen o pro eònon ipàrchon Thèos imòn. Tin gar sin mìtran thrònon epìise ke tin sin gastèra platitèran uranòn apirgàsato. Epì si chèri, kecharitomèni, pàsa i ktìsis. Dhoxa si.

MEGALINARIO DI SAN BASILIO IL GRANDE

Tòn uranonfàndora tu Christù, mìstin tu Dhèspotu tòn fostìra tòn fainòn tòn ek Kesarìas ke Kappadhòkon chòras, Vasìlion ton mègan, pàndes imnìsomen.

Al posto di “Idhomen to fos…” e di “Ii to ònoma…” si canta:

Tin àchrandon ikòna su…

OPISTHAMVONOS

O Sovrano Dio nostro, supplichiamo la tua bontà: ascolta i tuoi servi indegni e concedici di arrivare alla fine desiderata di questi giorni di digiuno che tu ci hai concessi per correggerci nell’uso dei beni presenti e guidarci al conseguimento dei premi futuri a cui aneliamo. Spogliaci delle opere delle tenebre e ornaci di quelle della luce: donaci la grazia della penitenza sincera e della preghiera umile a te accettevole. Il nostro Sovrano ancor lui in digiuno e in preghiera risplenda per le vittorie. Per la misericordia dell’Unigenito tuo Figlio col quale sei benedetto insieme con il santissimo, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Commento al Vangelo:
Quali che siano le circostanze (Andrea intermediario per Pietro, Filippo per Natanaele; chiamata diretta per Filippo), è sempre Gesù che conserva l’iniziativa con la profondità del suo sguardo e la sua parola incisiva che chiama i discepoli. L’evangelista non ci dice nulla dell’accoglienza di Simon Pietro, ma s’interessa soprattutto all’annuncio di Gesù riguardo al nome nuovo che un giorno riceverà “Cefa”, cioè Pietro. Giovanni risponde così a un duplice scopo: in primo luogo sottolineare l’autorità di Gesù che si comporta qui come il rivelatore; e poi porre Pietro fin dall’inizio in posizione di preminenza, lui sarà il portavoce dei Dodici e il pastore del gregge. Filippo è, dopo Andrea e Simon Pietro, il terzo discepolo che viene chiamato con il suo nome: tutti e tre vengono da Betsaida, città di pescatori situata in riva al lago di Tiberiade. La sua chiamata riprende una formula frequente nei sinottici: “Seguimi!”. Ma è soprattutto l’incontro con Natanaele che interessa il narratore. Il suo scetticismo, dopo aver conosciuto l’origine di Gesù, è spiegabile: il messia non poteva venire da una città insignificante come Nazaret. Questo contrasto tra il messia glorioso atteso e l’origine umile di Gesù è lo scandalo dell’incarnazione. La fede deve vincere l’ostacolo della carne e riconoscere nell’uomo Gesù l’inviato di Dio. Come ha fatto per Pietro, Gesù manifesta un sapere inaspettato anche per Natanaele: “Ti ho visto sotto il fico”. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dà spesso prova di una conoscenza superiore degli avvenimenti e delle persone, e di essere padrone di ogni situazione che gli si presenta. Alla fine del brano troviamo il titolo “Figlio dell’uomo” che a differenza dei sinottici che fanno riferimento a Dan 7,13 Giovanni si ispira alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17). Come in quell’episodio della Genesi, il riferimento agli angeli significava l’incontro e la comunicazione di Dio con gli uomini, così qui Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, è diventato il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo, tra il cielo e la terra.

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